Destano grande preoccupazione le notizie provenienti dal Nagorno Karabakh, regione già in passato martoriata dal conflitto tra Armenia e Azerbaigian. Un conflitto che oggi vede le due nazioni contendersi il controllo di una regione chiave per gli interessi energetici Euro-Asiatici e che oggi si sta espandendo in chiave internazionale con il rischio, non remoto, di danneggiare gli interessi dell’Europa già minacciati dalla crisi del Mediterraneo orientale.
È di qualche giorno fa la conferma dell’ingresso nel conflitto di forze jihadiste supportare da Ankara e Teheran composte da diverse migliaia di soldati legati allo Stato Islamico e all’Esercito Siriano Libero, a loro stesso dire arrivati nel Paese per “combattere una guerra santa contro i crociati” armeni. Oggi si parla di invii di uomini e mezzi dalla Libia a favore di Baku e di un supporto israeliano, confermato dai dati sul traffico aereo delle stato ebraico, per l’Armenia. Tel Aviv guarda infatti con estrema preoccupazione al conflitto nel Caucaso, anche per le evidenti infiltrazioni islamiste e cerca, ovviamente, di approfittare della crisi in chiave anti-iraniana.
Resta poco chiaro il coinvolgimento russo nel conflitto; se da una parte gli interessi di Mosca si allineano con quelli di Yerevan, le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono tese sin dal 2018, quando la Rivoluzione Colorata ha comportato un distacco dell’Armenia dalla Russia e un suo avvicinamento all’Occidente. In questa fase caotica, Germania e Francia si sono espresse duramente contro l’allargamento del conflitto e soprattutto contro l’intervento di attori esterni, mentre l’Italia non riesce ancora una volta ad esprimere una posizione risoluta. È necessario che l’Italia abbandoni ogni reticenza e contribuisca a far sì che l’Unione Europea produca una risposta adeguata prima che sia troppo tardi.