È vero e indiscutibile che in Italia vige un sistema bipolare, solo che non è tra destra e sinistra, ma tra chi vota e chi non vota. Chi vota è l’Italia dei sussidi, delle rendite di posizione, dei diritti acquisiti, dell’Italia assistenzialista e conseguentemente giustizialista a difesa dell’esistente. Chi non vota è l’Italia che produce, che vuole la concorrenza, che vuole l’affermazione del merito, della competenza per stare nei mercati globali, che vuole parlare di produttività aziendale e non di salario minimo, di crescita e non di stagnazione. È l’Italia dei doveri, della responsabilità con al centro l’individuo e non lo Stato vessatorio, burocratico, dell’eguaglianza delle opportunità e non dell’egualitarismo. È l’Italia che ad oggi non ha nessun riferimento politico, che è silente su cui però grava il peso del mantenimento dell’altra Italia.
Ecco questo è il bipolarismo italico, ormai spaccato letteralmente a metà e che si divide tra populismo, sovranismo illiberale da una parte e liberalismo dall’altra. Ormai si trascina da tempo la constatazione della mancanza di una forza politica liberale non equidistante ma alternativa a destra e sinistra. Constatazione che ad oggi non ha trovato risposta e quindi proposta. Le elezioni europee non sono state altro che l’ultima fotografia di questo stato di cose. Stato di cose che sancisce non solo l’irrilevanza del frastagliato mondo liberale, ma soprattutto la mancanza di ambizione per proporsi alla guida del Paese, superare la sindrome minoritaria da “grillo parlante” della prima repubblica, preferendo il rifugio nell’auto referenzialità dei personalismi, della difesa di una classe dirigente vecchia e più delle volte fuori uscita da altre esperienze politiche, PD in testa.
A destra e sinistra interessa ben poco il grado di astensione verso cui, ogni volta, ci si straccia le vesti ma che si vuole sempre più in crescita per garantire le rispettive rendite politiche, a difesa di un sistema di potere fine a se stesso in cui la divisione ideologica nasconde la stessa volontà di intenti a difesa trasversale dello stesso spaccato di società. Ormai tacciono le voci, si svuotano le piazze e, finalmente, non si sentono più i tanti, troppi, slogan con cui sono infarcite le settimane che ci hanno accompagnato verso questo weekend elettorale.
Oddio, non si sentono e non si sentiranno per qualche giorno, salvo poi riprendere in quella campagna elettorale senza fine, simbolo della palese incapacità di progettazione del futuro, cui ci ha ormai abituato la politica nazionale contemporanea con la sua decadenza politico-culturale, di cui quel 50% di astensionismo ne è il simbolo, la prova inconfutabile. E alla fine cosa rimarrà? Nulla, un vuoto di futuro, ma siccome in politica i vuoti non esistono, verrà riempito ancora una volta da quel bipopulismo imperante con annesso un linguaggio della politica arcaica, insignificante, con il susseguirsi nevrotico di aggettivi senza la benché minima attinenza alla realtà che ci circonda, con l’unica preoccupazione di escludere la società aperta dai centri decisionali del Paese, con gli attuali partiti e partitini come attori e comparse della stessa compagnia teatrale.
Tutto si riduce a parti della stessa commedia in cui i liberali che si trovano in mezzo come comparse e succubi, sono incapaci di uscirne. È una totale rassegnazione a quella logica perversa che vuole la verità negata per principio perché non pagante in termini di consenso. Il populismo è questo, è la politica dell’apparenza, dello non scontentare nessuno e qui non c’è destra e sinistra che tenga, veramente è tutto omologato.
La ricerca della verità è uno dei pilastri fondamentali di una società libera (occidentale). Quando evitiamo di affrontare questioni scomode, rischiamo di costruire una realtà parallela, una bolla protetta dove tutto è rassicurante ma profondamente disconnesso dalla realtà e corriamo il rischio di vivere in un mondo dove la verità è manipolata anziché affrontare i fatti per ciò che sono. I fatti ci dicono che siamo in guerra, l’Occidente è sotto attacco. L’invasione russa da una parte, la strage del 7 Ottobre da parte dell’Iran/Hamas, le forze populiste, sovraniste illiberali in Europa come negli Stati Uniti che avanzano, le ondate di antisemitismo e antisionismo intrecciate dalla retorica antifascista e anticapitalista, è tutto in un unico quadro d’insieme, è tutto parte di quel disegno strategico che vuole ribaltare la vittoria dell’89.
Se riconosciamo convintamente che oggi la polarizzazione politica è tra liberalismo e illiberalismo allora, coerentemente, bisogna adeguare a questo la proposta politica corrispondente che non ha nulla a che vedere con lo squallore di oggi. Caso contrario aumenta la polarizzazione farlocca destra e sinistra. Le persone si rifugiano nelle loro comode bolle di menzogna ideologica, anziché cercare la verità – che non è ideologica. Noi liberali difendiamo i principi della società aperta, che non va confusa con la società in cui tutti devono essere rispettati per ciò in cui credono. L’antisemitismo e l’antisionismo non meritano rispetto, così come il fondamentalismo islamico così come tutto ciò che si contrappone a libertà e democrazia. Crediamo nella libertà perché ci porta alla verità. Se iniziamo a togliere ogni accesso alla verità, anche le nostre libertà verranno a mancare. Oggi, più che mai dal Dopoguerra, è necessario combattere questa battaglia culturale. Ci dobbiamo opporre ora a questa tendenza, per difendere le nostre libertà e dare una prospettiva di futuro alla società aperta.