Da quasi una settimana, il Governo Federale dell’Australia, guidato dal Primo Ministro di origine italiana Anthony Albanese, ha siglato un accordo con l’isola della Repubblica di Vanuatu che prevede l’emissione di nuovi visti di ingresso per gli isolani vanuatiani in caso di forti catastrofi causate dal cambiamento climatico.
L’isola di Vanuatu rischia di essere sommersa dal continuo innalzamento del livello del mare a causa del cambiamento climatico, e purtroppo molti paesi nel mondo corrono rischi simili, se non peggiori.
Questo accordo tra Australia e Vanuatu mi ha fatto riflettere sul fatto che in Italia, come nel resto d’Europa, sembra che non si sia mai affrontato il problema delle migrazioni causate dal riscaldamento globale con la dovuta serietà. Il nostro paese ha spesso affrontato la questione dell’immigrazione in modo populistico, con slogan come “blocchi navali”, “porti chiusi”, “frontiere aperte a tutti” ed “aiutare i poveri a casa loro”. Tuttavia, raramente si è provveduto a governare l’immigrazione in modo ordinario, seguendo procedure e regole certe.
Nessuno degli esponenti del governo sembra affrontare il tema delle possibili migrazioni dovute al cambiamento climatico, e l’opposizione sembra altrettanto silenziosa. Le migrazioni climatiche, causate da fenomeni atmosferici estremi, innalzamento della temperatura, aumento del livello del mare, siccità, consumo del suolo e scioglimento dei ghiacciai, rappresentano un fenomeno irreversibile. Le persone che abbandonano la propria terra d’origine spesso non potranno mai fare ritorno.
Sarebbe interessante sentire gli esponenti di partiti come Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia pronunciarsi sulla questione, soprattutto quando il cambiamento climatico rende invivibili le terre di questi immigrati climatici. È come chiedere a qualcuno di vivere in una stanza a 50 gradi senza aria condizionata e senza poter aprire la finestra, o di vivere completamente immersi nell’acqua senza mai toccare terra.
Leggi anche: Il ritorno di Cameron e la scommessa centrista di Sunak
Secondo un articolo di “Will Media”, un organo d’informazione sensibile ai problemi ambientali, l’Università di Oxford prevede che nel 2050 potrebbero esserci più di 200 milioni di migranti climatici. Già nel 2019, 25 milioni di persone sono state costrette a cercare rifugio in cinquanta nazioni diverse. Molti migranti climatici provengono da paesi in via di sviluppo come America Latina, Caraibi, Africa Subsahariana, Regione del Sahel e Sud – Est Asiatico. L’Africa Subsahariana e la Regione del Sahel non sono molto distanti dall’Europa e il fenomeno delle migrazioni climatiche riguarda anche continenti sviluppati come America ed Europa.
In Italia tra il 2022 ed il 2023 ci sono stati ben piu’ di 423 eventi climatici estremi basti pensare a quello che e’ successo recentemente nelle Marche, Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. Neanche il nostro paese e’ al sicuro dagli effetti estremi del cambio del clima e ci sono zone del nostro paese che rischiano conseguenze irreversibili.
È importante riconoscere che i migranti climatici, anche se attualmente vengono trattati principalmente come migranti economici, sono una conseguenza diretta del cambiamento climatico. Quest’ultimo, infatti, porta alla povertà, ai conflitti armati e alle violazioni dei diritti umani. La Convenzione di Ginevra riconosce lo status di rifugiato alle persone costrette a lasciare il proprio paese a causa di guerre o persecuzioni, e gli stati che accolgono i rifugiati devono garantire loro protezione ed e’ giusto che questo riguardi anche i migranti climatici.
Il governo italiano non può ignorare il problema dei migranti climatici, anche se alcuni esponenti di partiti come Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sembrano negare l’esistenza stessa del cambiamento climatico. La tutela dell’ambiente e del clima non dovrebbe essere un argomento di esclusiva della sinistra; è un problema che riguarda tutti noi. Persino Indro Montanelli, giornalista di destra negli anni ’70, aveva una forte coscienza ambientalista, criticando l’inquinamento industriale e la cementificazione selvaggia.
La lotta al cambiamento climatico non conosce colori politici, e l’Unione Europea deve fare la sua parte attraverso una politica estera ed ambientale comune, coinvolgendo organismi internazionali come l’ONU.