Forse sembra troppo ottimista parlare di bicchiere mezzo pieno dopo i risultati elettorali di domenica, ma bisogna anche ammettere che ci sono dei lati positivi non trascurabili. Si sapeva ormai da diverse settimane che il centrodestra (di centro c’è ben poco) avrebbe vinto agevolmente le elezioni, come già si sapeva che Fratelli d’Italia sarebbe stato il primo partito.
Ciononostante, ci sono dei motivi per sorridere: il governo, non avendo i 2/3 della maggioranza del Parlamento, non potrà riformare la Costituzione (già si è iniziato a parlarne) senza passare per il referendum attraverso il quale in passato, eccetto quello del 2020 sul taglio dei parlamentari, gli italiani hanno sempre respinto quasiasi modifica. La Lega prende meno del 9% e la leadership di Matteo Salvini viene messa (finalmente) in discussione. Già ieri Roberto Maroni ha dichiarato che è giunto il momento di cambiare il segretario del Carroccio. Ovviamente bisognerà vedere da chi, eventualmente, verrà sostituito Salvini, ma se (come si presume) fosse arrivato il momento di Luca Zaia, potrebbe finalmente esserci quella svolta governista e anti sovranista che Giancarlo Giorgetti cerca di promuovere ormai da un paio di anni. Speriamo sia la volta buona! Il terzo polo prende quasi l’8%, che è tutt’altro che un cattivo esordio. Considerando che il Partito Democratico ha ottenuto un risultato quasi uguale alle elezioni del 2018, si presuppone che una fetta di quel 7,7% raggiunto dall’accoppiata Calenda/Renzi provenga da quei liberali e moderati che non si riconoscono più nei partiti di centrodestra. La strada sembra quella giusta.
Dopo il risultato deludente del Partito Democratico, Enrico Letta ha dichiarato che non si ricandiderà alla segreteria del partito al prossimo congresso di marzo. Evidentemente, non hanno pagato nè le sue ambigue alleanze con partiti europeisti (più Europa) e allo stesso tempo con movimenti euroscettici (Sinistra Italiana), né una campagna elettorale senza progetti a lungo termine e con la demonizzazione dell’avversario come arma principale (forse l’unica). L’auspicio è che alle prossime primarie del PD potremo vedere volti nuovi e competenti; che non abbiano come unico scopo denigrare la destra e creare una polarizzazione dell’elettorato. Di sicuro, far meglio di Letta non sarà impossibile. Sono stati bocciati dagli elettori tutti i vari partitini antisistema, no vax, no Euro, No UE: Italexit di Paragone, che ha occupato spesso i salotti televisivi negli ultimi due anni, attaccando Draghi, il Green Pass, l’EMA, l’AIFA e avendo come punti cardine del suo programma, l’uscita dall’euro e dall’Europa, si è fermato all’1,7%. Pare che questa volta non chieda il riconteggio dei voti, come accaduto per le elezioni comunali a Milano. Almeno non è recidivo. Vita di Sara Cunial, invece, si aggiudica lo 0,7%. Sembra che le manifestazioni no mask prima e no vax poi, non siano bastate a farla restare in Parlamento anche nella prossima legislatura. Ce ne faremo una ragione.
Sia Paragone che Sara Cunial, lo ricordiamo, erano entrati in Parlamento con il Movimento 5 stelle. Italia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo si aggiudica l’1,1%, pare che la bottiglia di champagne stappata per festeggiare la morte di Gorbacev non abbia destato grande simpatie nell’elettorato. Sarà per la prossima volta. Infine, Impegno Civico di Luigi Di Maio che, a dire il vero, a differenza degli altri, non è un partito “anti sistema”, ma inseriamo comunque tra le buone notizie la sua esclusione dal prossimo Parlamento. Dopo aver presieduto il ministero del lavoro prima e quello degli esteri poi, senza alcuna competenza per poterlo fare, l’onorevole (ancora per qualche giorno) Di Maio ha provato a farsi rieleggere creando una scissione nel Movimento 5 stelle, che non lo avrebbe ricandidato per effetto del vincolo del doppio mandato. Gli ultimi mesi da pseudo istituzionalista draghiano non sono bastati a far dimenticare all’elettorato moderato le contestazioni nei confronti dell’euro, la richiesta di impeachment per Mattarella e l’incontro con i gilet gialli. Vedremo se sarà ricandidato in qualche lista alle prossime europee. Nel frattempo lo salutiamo senza alcuna nostalgia. Non possiamo negarlo, il bicchiere è senz’altro mezzo vuoto, ma al momento non ci resta che concentrarci su quel poco di buono che possiamo trovare da questi risultati elettorali; augurandoci che il prossimo governo faccia meno danni possibili e che vengano nominati dei ministri competenti. La speranza è l’ultima a morire.