Nonostante il presidente del Copasir, il fratello d’Italia Adolfo Urso, si sia affrettato a chiarire che “nel dossier non c’è l’Italia”, aggiungendo poi “almeno per ora”, è evidente che i legami tra i soldi di Putin e i partiti estremisti italiani esistano anche se non messi neri su bianco su un documento tirato fuori dagli americani a 10 giorni dalle elezioni. Non servono conferme: lo dimostrano già le posizioni indulgenti assunte da alcuni di loro nei confronti dello zar invasore, responsabile delle sofferenze ucraine e di orrori come quelli di Bucha e Izyum, le richieste di non inviare più armi all’esercito di Kyev e lo stop alle sanzioni.
Insomma, non è che qualcuno si possa stupire se alla notizia dei soldi russi ai partiti europei per minare la democrazia dal di dentro il pensiero sia volato subito alla Lega e al Movimento Cinque stelle. I quali certamente sono estranei alla vicenda, fermo restando che è ininfluente se ci siano o meno responsabilità loro dirette: la preoccupazione per il futuro del governo italiano e delle politiche estere attuabili qualora una formazione filorussa andasse al potere restano indipendentemente da ciò che c’è scritto su quel dossier.
Fa quasi tenerezza, pertanto, che il principale esponente filoputiniano in Italia, il segretario della Lega Matteo Salvini, si giustifichi – excusatio non petita, accusatio manifesta – dicendo che di ritorno da uno dei suoi viaggi a Mosca per manifestare pro Putin sulla Piazza Rossa, egli abbia “riportato a casa per mia figlia un pericoloso e sovversivo personaggio dei cartoni: Masha e Orso”. Da Libro Cuore.
Non servono i dossier americani per scoprire ciò che già sappiamo, e cioè che la Lega a trazione salviniana ha un debole per l’autarca del Cremlino. E che se andrà al governo del Paese farà di tutto per interrompere le sanzioni e, sfruttando una propaganda che ha già fallito, tentare di riabilitare Putin agli occhi dell’opinione pubblica. Questo è un fatto, dossier o meno, e lo è perché Salvini da anni agisce così. Fondi russi o meno.
Facciamo un po’ di cronistoria dal 2014 ad oggi, sull’esempio di Claudio Cerasa oggi su Il Foglio. Chi indossa magliette con la faccia di Putin, a Mosca e a Bruxelles? Matteo Salvini. Chi dice che Putin è meglio di Mattarella? Matteo Salvini. Chi chiede dopo il 2014 lo sto alle sanzioni alla Russia a seguito dell’invasione della Crimea? Matteo Salvini. Chi dice che “Putin è uno dei migliori uomini di governo al mondo”? Matteo Salvini. ). Chi ha detto che “chi gioca contro Putin è un deficiente” (dicembre 2014) e che “preferisco Putin all’Europa, non ci sono dubbi” (marzo 2015)? Matteo Salvini. Chi ha detto di “credere che la Russia sia molto più democratica di come è l’Unione Europea così come è impostata” (marzo 2015)? Matteo Salvini. Chi ha sentenziato che è “meglio la Russia di Putin di questa Europa” (15 marzo 2017), sperando di “averne dieci di Putin in Italia, metterebbe un po’ di ordine” (febbraio 2017)? Matteo Salvini. Chi ha affermato “se devo scegliere tra Putin e la Merkel vi lascio la Merkel, mi tengo Putin!” (marzo 2017)? Matteo Salvini. Chi sostiene che “uomini come Putin, che fanno gli interessi dei propri cittadini, ce ne vorrebbero a decine in questo paese” (10 luglio 2018)? Matteo Salvini. Chi afferma che “io qua a Mosca mi sento a casa mia mentre in alcuni paesi europei no” (20 ottobre 2018)? Matteo Salvini. Chi durante la pandemia ha promosso il vaccino russo in quel momento non ancora approvato dall’Ema? Matteo Salvini. Chi definisce lo zar “un uomo di governo stimato e stimabile” (15 febbraio 2020)? Matteo Salvini. Chi ha confermato “un partenariato paritario e confidenziale” tra il suo partito e quello di Putin (marzo 2022)? Matteo Salvini. Chi propugna le tesi della propaganda russa (“Nato cattiva”, “togliamo le sanzioni”, “basta armi”) e si propone come messaggero di pace in un inopportuno (poi annullato) viaggio a Mosca, pagato dall’ambasciata russa in Italia, tenendo all’oscuro il governo? Matteo Salvini.
Non servono dossier americani. La verità è già sotto gli occhi di tutti. E sarebbe il caso che se ne rendesse conto, chiedendo il conto al suo sodale, anche Giorgia Meloni, candidato premier in pectore.