“I partiti sono un oligarchia autoreferenziale”. A dirlo, senza ombra di dubbio, Sergio Fabbrini, uno dei più autorevoli e affermati studiosi dei sistemi politici e istituzionali, a livello internazionale. Fabbrini, professore ordinario di Scienza Politica e Relazioni Internazionali e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche presso la LUISS Guido Carli, dove ha fondato la School of Government e l’ha diretta dal 2010 al 2018, condivide quanto affermato ieri sulle colonne de Il Riformista da Sabino Cassese. “Il modo in cui si sono formate le liste è un’ulteriore dimostrazione del carattere oligarchico del nostro sistema politico. Scarsa democraticità, debolissimo radicamento sociale, verticalizzazione del potere, concentrato nelle mani dei segretari, imposizione ai votanti non solo di liste nelle quali non si può scegliere, ma anche di candidati con deboli relazioni con i collegi, possibilità di presentare la propria candidatura in più collegi, dando così la possibilità di scelte individuali dei vincitori, perché la sorte dei numeri due dipenderà dalle scelte fatte dai numeri uno”, aveva spiegato Cassese e Fabbrini, contattato dallo stesso giornale, ammette di condividere tale analisi.
“Tutti sembrano essere consapevoli di questa degenerazione del sistema partitico italiano”, dice. “C’è da chiedersi perché non si riesce a cambiare innanzitutto il sistema elettorale e, assieme ad esso, il sistema istituzionale. La domanda cruciale a questo punto è perché i partiti sono abbarbicati a delle regole elettorali ed istituzionali che porteranno alla loro ulteriore degenerazione”. Secondo lo studioso dipende moltissimo dagli approcci che si adottano. “Secondo un approccio razionalista, la risposta alla domanda è: perché gli incentivi che i politici debbono seguire vanno tutti nella direzione della conferma dello status quo. Gli eletti sono diventati degli imprenditori di se stessi e quindi si comportano sulla base dei vantaggi immediati che possono conquistare nel mercato politico. Ormai gli eletti non rappresentano più gli elettori nel senso tradizionale, ma “usano” gli elettori per promuovere i propri interessi di eletti. Questo spiega anche perché – come ha ben rimarcato Sabino Cassese nell’intervista – stia aumentando sempre di più il numero di coloro che non vanno a votare. C’è un approccio razionale che dice che i politici eletti guardano al breve periodo e in questo arco di tempo limitato non hanno interesse a cambiare. Anzi, quelli che vinceranno le elezioni del 25 settembre, anche se fossero consapevoli dei disastri di questo sistema elettorale, non cambieranno mai la legge elettorale e il sistema istituzionale che li ha portati in parlamento. Ma questa non è l’unica interpretazione della politica”.