Un tempo la sinistra vinceva nei quartieri popolari ed operai del Paese mentre il centro, rappresentato dalla Democratica Cristiana, nei quartieri borghesi ed in molti altri luoghi.
In entrambi i casi la consapevolezza del voto era decisamente presente, l’appartenenza prevaleva sui programmi, l’ideologia sulla demagogia.
La situazione si è poi, gradualmente, capovolta e la sinistra ha vinto, oltre che nei suoi storici feudi toscani ed emiliani, solo nei quartieri più esclusivi delle città, da San Babila a Milano ai Parioli di Roma.
Mentre le periferie, abbandonate dallo Stato e dal “Partito”, sono state facile conquista della triade dei populismi: nell’ordine quello “rozzo padano” di Bossi, quello “imbonitore” di Berlusconi e, negli ultimi tempi, quello “diversamente fascista” di Giorgia Meloni.
Oggi siamo in presenza di una ulteriore evoluzione, oggi si è di fatto radicalizzato il solco tra il voto in qualche modo consapevole e quello spinto da una miriade di motivazioni le più disparate. Questo fenomeno è certamente trasversale e non facile immaginare tipizzazioni.
Non è determinante il titolo di studio o la cultura in generale, non lo è il reddito, in alcuni casi può incidere la regione o la città di domicilio, anche in rapporto alla capacità amministrativa di chi le guida, ma direi che l’incidenza è decisamente marginale.
E dunque?
La discriminante principale è l’interesse al tema, la consapevolezza appunto, il senso civico o, meglio, il sentirsi parte di una comunità ed in quanto tale “coinvolto” e non, a prescindere, “assolto” per parafrasare De Andrè.
La campagna elettorale appena cominciata dovrà essa stessa evolvere per entrare in sintonia con questi due mondi estremamente diversi, la politica DOVRÀ necessariamente, trovare le parole giuste per gli uni e per gli altri, nella consapevolezza che le “parole” non potranno essere le stesse.
È evidente che il messaggio che induce alla semplificazione fino a ridursi allo slogan sia di per sè avvantaggiato in un contesto in cui la ricerca della verità è stata sostituita da tante verità apparenti, superficiali e individuali: non c’è più la necessità di condivisione ed ancor meno, di comprensione, ma ci si accontenta di una verità parziale o di credere ad una verità mutevole, creata artificialmente da qualche demagogo per strumentalizzare il consenso a proprio piacere e secondo proprie finalità.
Pur tuttavia il nostro Paese ha spesso trovato “risorse inaspettate” proprio nei momenti storici di maggiore difficoltà.
Aiutiamolo a trovarle anche in questa occasione, soprattutto in quest’occasione.
Del resto, “se non ora, quando?”