Forse Marta Fascina ora augurerà il riposo eterno anche a lei, o Licia Ronzulli le consiglierà uno xanax come fatto con Maria Stella Gelmini, ma la verità è che, seppur annunciato, l’addio ufficiale e definitivo di Mara Carfagna a Forza Italia spaventa più che mai gli azzurri. Perché Mara è una leader, ed è un’icona, volente o nolente, che rappresenta quell’ala moderata e liberale che Forza Italia ha scelto di abbandonare per prostrarsi ai piedi della Lega. Ma, soprattutto, Mara ha i voti, frutto di un enorme seguito soprattutto al sud che è riuscita a consolidare con le sue capacità in oltre 20 anni di appartenenza all’area liberale al fianco del Cavaliere. Il rischio che l’uscita del ministro per il Sud da FI spacchi il partito e mini sui territori la tenuta della “coalizione” di centrodestra è alto.
Mara Carfagna ufficializza oggi su Repubblica, non senza amarezza, una decisione che nei fatti aveva già preso da tempo e che è diventata chiara a tutti nel momento in cui Forza Italia ha deciso di non votare la fiducia a Draghi per i pruriti elettorali di Berlusconi e per compiacere Matteo Salvini. Con cui la ministra campana, non è un mistero, si scontra da anni. “La riflessione che sto facendo parte da due dati di fatto: gli applausi di Putin alla crisi e le centinaia di messaggi di sindaci e imprenditori che da giorni mi dicono ‘ma siete impazziti?’ – afferma Carfagna sul quotidiano “nemico” di Berlusconi -. Per quattro anni, mi sono battuta all’interno del partito per difendere la sua collocazione europeista, occidentale e liberale, dall’abbraccio del sovranismo. Una parte considerevole di Forza Italia la pensava allo stesso modo. Siamo stati sconfitti, più volte, l’ultima in modo bruciante: neppure consultati sulla crisi del governo di salvezza nazionale che noi stessi avevamo voluto. Ora mi chiedo: ha un senso proseguire una battaglia interna? O bisogna prendere atto di una scelta di irresponsabilità e instabilità, fatta isolando chi era contrario, e decidere cosa fare di conseguenza?”.
Il dado è tratto, Carfagna conosce già la risposta alle sue domande. E una come lei, che viene dal mondo dello spettacolo ma ha saputo affermarsi ai più alti livelli delle istituzioni per le sue indiscusse qualità politiche (vale la pena ricordare una battaglia su tutte: si deve a Mara Carfagna l’inasprimento delle pene per il reato di stalking), non teme la shitstorm scatenata dal cerchio magico di Arcore che potrebbe investirla come accaduto a Gelmini e Brunetta. “Non ho timori di questo tipo, perché dovrei averne – chiarisce -? Oltretutto, in passato ho subito molti pestaggi mediatici e ho sempre risposto con la forza del mio lavoro. Qualsiasi saranno le scelte, poi, la mia lealtà personale a Berlusconi resta, e tutti lo sanno. A me interessa il futuro: i soldi del Pnrr e le opere pubbliche collegate, le intese per gli approvvigionamenti invernali di gas, una manovra economica espansiva e protettiva al tempo stesso. Cose pratiche, concrete, che bisognava mettere in sicurezza prima del voto del marzo prossimo e rivendicare come successi un minuto dopo. Era questo l’esame di maturità che FI avrebbe dovuto chiedere a Lega e FdI: dimostriamo agli italiani, all’Europa e all’Occidente che siamo un fronte responsabile, serio, capace di rispettare i patti fino in fondo. Si è fatto il contrario. Ciò che conta ora è ripristinare l’affidabilità italiana, messa gravemente a repentaglio dalla crisi e da chi l’ha provocata”.
Carfagna non svela cosa ne sarà del suo futuro politico, ma sa per certo dove non starà: al fianco di Giorgia Meloni. “”Meloni ha tutto il diritto di proporre la sua premiership: se l’è guadagnata, guida un partito che ha ampiamente sorpassato la Lega e ha il triplo di voti di FI – spiega -. A Draghi si è sempre opposta, per molti versi è la più coerente. Ma la sua idea dell’Italia non è la mia. Io penso che l’Italia non debba somigliare all’Ungheria di Orbán, ma alla Germania di Merkel. Penso che Steve Bannon sia un cattivo maestro. Penso che l’integrazione politica ed economica europea siano un’ancora di salvezza, non un pericolo per il nostro Paese. Io penso a cosa si può fare perché la voce delle imprese, di chi produce occupazione, reddito, lavoro, la voce dell’Italia che si sveglia ogni mattina per andare al cantiere o per aprire un negozio, la voce dei sindaci e dei cittadini del Sud che hanno diritto a una speranza, non resti stritolata. Questa voce la sento ogni giorno: è preoccupata, sconcertata, chiede serietà e non ulteriori avventure. Deve avere rappresentanza in Parlamento e la possibilità di farsi ascoltare da chi governerà in futuro”.
La ministra per il Sud, tuttavia, difende l’anima e la missione liberale di Forza Italia, almeno fino alla caduta del Governo Draghi. “Lo strappo del 20 luglio scorso è determinante, segna con forza un prima e un dopo, uno spartiacque – dice ancora Carfagna -. La mancata fiducia a Draghi indica la rinuncia a ogni autonomia della componente liberale dalla destra sovranista. Fino al 19 luglio FI non avrebbe avuto alcun dubbio sulla linea in caso di problemi del governo: favorire la conclusione ordinata della legislatura, mettere in sicurezza famiglie e imprese, sostenere il premier più rispettato d’Europa per poi poterne rivendicare i successi in campagna elettorale. Dal 20 luglio il Rubicone è stato varcato. È stata fatta una scelta di totale discontinuità con la nostra storia e con le nostre relazioni europee e occidentali. Io sono rimasta sulla sponda dove sono sempre stata. Di fronte a un bivio tra sottomettermi a una visione che non è la mia e rispettare quella in cui ho sempre creduto, non ho avuto alcun dubbio. In questo momento la priorità è mettere in sicurezza il Paese, non esporlo a salti nel buio”.
Cosa risponderà Carfagna all’invito di Carlo Calenda a partecipare alla creazione di un’Area Draghi, a cui ha già risposto “presente” Maria Stella Gelmini? “Credo che l’esperienza del governo di salvezza nazionale, una esperienza davvero patriottica fondata su una visione concreta dei problemi e degli impegni internazionali dell’Italia, meriti un secondo tempo – conclude -. Ci serve più europeismo e più credibilità verso ogni nostro alleato. È necessario affrontare le grandi questioni dello sviluppo, delle tasse, del lavoro, per risolverle e non per fare propaganda. E penso anche all’azione per il Sud: per la prima volta dopo vent’anni il governo Draghi non lo ha trattato come zavorra ma come area su cui investire per creare più lavoro e più servizi. Il mio “fronte” è questo, questa sarà la mia battaglia del futuro…”. Le idee di Mara sono quindi ben chiare.