Dopo Cangini, Gelmini e Carfagna , anche Renato Brunetta lascia Forza Italia in polemica per la scelta del partito di Berlusconi di non votare la fiducia a Mario Draghi.
L’ ossessione per il voto – come se non si sapesse che la legislatura dura 5 anni e che nessuno ha mai impedito agli italiani di andare alle urne – ha infettato il centrodestra “di governo” come un virus e ha provocato la crisi più grottesca della storia repubblicana per meri interessi di parte e di partito.
Pensare che Lega e Forza Italia abbiano assecondato la follia di Conte è qualcosa che esula dall’umana comprensione e spinge a essere non solo solidali umanamente con il ministro della Pubblica Amministrazione, ma anche a sposarne per intero l’analisi politica.
No, Brunetta proprio non poteva starci e non poteva che dimettersi e mollare la nave azzurra.
Ma – come tiene a precisare l’interessato – “non sono io che me ne vado, è Forza Italia che ha lasciato se stessa….”, rinunciando ai valori che tradizionalmente rappresentava. Atlantismo, europeismo, economia sociale di mercato che promuova la concorrenza e al contempo tuteli le fasce di popolazione più deboli, costituiscono i principi basilari di una forza di destra liberale, e oggi questi principi sono stati sacrificati sull’altare del populismo demagogico di Salvini.
La deriva di Forza Italia verso i lidi estremisti sono dovuti a errori strategici, alla poca lucidità del leader e, soprattutto, al nuovo cerchio magico di Berlusconi – Licia Ronzulli in primis – molto vicino a Matteo Salvini e molto lontano dalle origini (ormai dimenticate) del partito. E questo per Brunetta non è solo una questione – evidente – di merito, ma anche di metodo. Come anche altri, anche il ministro lamenta l’eccessiva ristrettezza dei vertici politici in Forza Italia riservati solo ai fedelissimi, l’assenza di un vero e proprio dibattito interno e dunque l’appiattimento su un perdente tardo-provincialismo sovranista che non ha futuro perché sacrifica il liberalismo in nome della tutela di microinteressi corporativi (siano essi i tassisti o i balneari o chissà cos’altro). Insomma, l’opposto della concezione economica liberale che Brunetta ha portato avanti per quasi trent’anni di militanza.
Ormai, la bulimia elettoralistica è l’unico tratto caratteristico del centro-destra che non ha programmi né contenuti e nemmeno classe dirigente all’altezza. Già lo rilevava Maria Stella Gelmini ieri insistendo proprio sull’assenza di proposte liberali da parte di Forza Italia e l’analisi di Brunetta sembra confermare questa notazione (al netto dell’ “avvieneristico” programma berlusconiano che il leader preannuncia tradendo una certa simpatica inflessione russa – ah le matrici!).
Quindi la domanda sorge spontanea: che cosa è diventata Forza Italia e, soprattutto, che cosa ne sarà in futuro? Cui prodest, visto che quel minimo di credibilità e di risalita nei sondaggi per gli azzurri era dovuto solo ed esclusivamente all’appoggio al governo Draghi?
Brunetta non si capacita di ciò che è accaduto e si dice comunque orgoglioso di aver servito il governo e il paese da ministro, partecipando alla più grossa opera di ricostruzione post-bellica a seguito dell’ondata pandemica che ha travolto tutto il mondo e le emergenze ad essa collegate.
Ma si spinge anche a sottolineare, quasi a profetizzare, la necessità di una unione repubblicana il più allargata possibile che recuperi la tradizione liberale e riformista e faccia dell’Agenda-Draghi una piattaforma programmatica da sviluppare e integrare perché – per Brunetta – non è possibile perdere completamente quel patrimonio che, oltre alla persona del premier, aveva restituito credibilità all’Italia nei consessi internazionali e sui mercati. E’ un appello che va raccolto assolutamente aggregando sensibilità comuni al di là degli steccati ideologici. Da questo punto di vista, Buona Destra non si sottrarrà a giocare un ruolo in quanto destra liberale, europeista, antisovranista.
Grave poi, per Brunetta, la risposta di Berlusconi – che ha accusato di tradimento i fuoriusciti prevedendone la morte politica (“riposino in pace”) – in quanto concentrata esclusivamente sul rancore personalistico senza scendere nel merito dei problemi politici che quella scelta ha portato in luce.
Anche questo, a ben vedere è prova dell’involuzione di Forza Italia colpevole ostaggio del pressapochismo populista, che le ha fatto perdere la grande occasione di lasciare in eredità un lascito importante.