I toni da commedia all’italiana la politica nostrana non li ha mai abbandonati. Con una certa uggia assistiamo quotidianamente a delle vere e proprie sceneggiate. La Lega prima, il M5s poi, han fatto traballare, da quel lontano 13 febbraio del 2021, più volte, il governo. Come se su temi importanti quali la messa in cassaforte del Pnrr, la pandemia, la guerra in Ucraina si possa scherzare su. Non deve stupire dunque se da Bruxelles ci guardano con incredulità, non capendo come si possa anche solo pensare di mandare a casa uno come Mario Draghi, che ha ridato al nostro Paese quella credibilità che da tempo mancava. Sballottato ora dai sovranisti ora dai populisti, il premier ha tenuto duro. Ci si chiede però oggi alla luce di quella frase di Conte “Valuteremo il sostegno quando avremo risposte concrete”, quanto ancora l’ex numero uno della Bce possa resistere. Eh, se fossimo veramente in un film, di quelli belli di Sorrentino, soltanto una cosa ora ci sarebbe da sussurrare a Draghi: “Caro Mario, non ti disunire”. “La realtà è scadente”, lo sappiamo. La politica italiana pure, di riflesso, lo è, altrimenti non sarebbe stata necessaria la presenza stessa di un outsider come lui. “Ma non ti disunire”.
E le cose a distanza di mesi non sembrano affatto cambiate: abbiamo ancora bisogno di Draghi, la persona che ha rappresentato la garanzia da prestare all’Unione Europea per ottenere i soldi del Recovery. I partiti non sembrano però averlo capito, continuano a comportarsi come se tutto fosse un gioco, un’eterna ricreazione. In questo anno e più a Palazzo Chigi Draghi ha dato il meglio di sé (e forse ha tirato fuori il peggio dai partiti), non piegando mai la sua agenda agli assalti dei leader. Non solo, questi ha saputo farsi vedere forte davanti ai partners internazionali, dando sostanza alle parole pronunciate durante il suo primo discorso al Senato: «Senza l’Italia non c’è l’Europa, ma fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere». Da allora di cose ne son successe, pensiamo soltanto alla guerra in Ucraina, con tutte le conseguenze: la crisi energetica, l’inflazione, l’emergenza agroalimentare. Provate solo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se al posto di Mario Draghi ci fosse stato un altro. E ora bisogna fare i conti con la possibilità che l’ex banchiere centrale venga sfiduciato.
Una crisi di governo in piena estate, che diciamolo francamente, vanificherebbe gli sforzi fatti finora. Il presidente del consiglio non è un ingenuo, sa che, arrivato l’autunno, sarà inevitabile che i partiti della maggioranza entrino in modalità campagna elettorale. Dunque? Eh, toccherà a lui, soltanto a lui, decidere se e per quanto tempo restare ostaggio dei partiti. È difficile credere che l’ex numero uno della Bce si lasci tirare ancora per la giacchetta (come già successo per la partita del Colle) e che si faccia logorare più del dovuto. Dietro quel “Vogliamo risposte entro luglio” è evidente sia che il M5s sia tentato all’idea di uscire dal governo, ma anche che Conte stia temporeggiando per capire che piega prendono le cose. Molto (forse tutto) dipenderà dai riscontri dello stesso Draghi, che dovrà assecondare qualche richiesta pentastellata per tenere unito l’esecutivo. Ma fino a che punto sarà disposto a cedere? È questa l’incognita. Da civil servant qual è non si può credere che Draghi abbia intenzione di lasciare il lavoro a metà, tantomeno che si intesti un fallimento. Se i veti non cesseranno forse a dire basta sarà lui. Come pure non è da escludere che lentamente si arrivi ad un “Draghi bis”.