Da Bruxelles c’è parecchia attenzione al caso Italia. E di fronte alla possibilità che nel nostro Paese si possa aprire una crisi di governo (l’ennesima in piena estate) e che Mario Draghi venga sfiduciato non si prova soltanto preoccupazione, ma anche incredulità. Visti i risultati conseguiti dall’ex numero uno della Bce – in un anno e mezzo ha portato l’Italia ad essere prima per crescita economica e terza per vaccinazioni in Europa – nei palazzi Ue tanti si chiedono come si possa anche solo pensare di staccare la spina e sostituirlo. Anche perché negli ultimi mesi il premier si è dato parecchio da fare per rendere l’Italia meno dipendente da Mosca e sostituire il gas russo. Da civil servant quale è Draghi si è speso, mettendo la sua reputazione al servizio del Paese, consapevole che la credibilità dell’Italia in Europa è sempre appesa ad un filo.
A Bruxelles i conti li fanno anche sul Recovery Fund, lo spiega chiaramente Claudio Tito su “Repubblica”: “Gli spifferi di una crisi di governo che partono da Roma quando arrivano in Belgio, diventano tifoni. E si concentrano, appunto, proprio sui tanti soldi concessi all’Italia con il NextGenerationEu. Nel caso specifico tutto si sta amplificando per una coincidenza. Che ancor di più mette in connessione la politica italiana e il Pnrr. Circa dieci giorni fa, infatti, il governo ha inviato una lettera ufficiale alla Commissione per annunciare di aver raggiunto nel semestre appena concluso tutti gli oltre 40 punti del Pnnr. La risposta informale è stata positiva. Palazzo Berlaymont approverà nei prossimi giorni il test semestrale e stanzierà un’altra tranche di fondi: circa 24 miliardi di euro”. Ma dietro queste consultazioni ufficiose c’è un gigantesco “ma”. L’incertezza, quel “ma” che toglie il sonno, riguarda gli obiettivi del semestre in corso: il periodo che va da luglio a dicembre. Una fase in cui bisogna dar sostanza alle parole, mettere in cantiere i progetti. Come pensa l’Italia di affrontare tutto questo senza Mario Draghi, la persona che ha rappresentato la garanzia da prestare all’Ue per i soldi del Recovery?
Per far capire l’aria che tira Tito svela un retroscena che la dice lunga. Durante la riunione del gruppo parlamentare più numeroso, il Ppe, un eurodeputato tedesco si è rivolto a un collega italiano con gli occhi sgranati dicendo: “Davvero state litigando su Draghi? In questa situazione? Proprio ora che non sappiamo cosa accadrà con la guerra e con il gas?”. L’interlocutore pare che abbia risposto semplicemente allargando le braccia. Il capogruppo popolare, il tedesco Manfred Weber, nel suo intervento in aula ha confermato la linea di credito politico nei confronti del presidente del consiglio e ha accolto la proposta del tetto al prezzo del gas: “Dobbiamo concentrarci sul compito più importante: il controllo dell’inflazione e la sicurezza energetica. Come primo passo io sostengo l’iniziativa di Draghi di imporre un tetto temporaneo ai prezzi che i Paesi europei sono disposti a pagare per il gas naturale russo”. Dichiarazioni che fan capire quanto il nostro premier sia stimato all’estero. In fatto di autorevolezza, Draghi non è pari a nessuno.
Super Mario come un esperto direttore d’orchestra ha cercato in questi mesi di coordinare al meglio il suo governo senza aggettivi, senza perdere di vista il suo spartito, gli obiettivi da raggiungere. Vale a dire accelerare la campagna vaccinale e rilanciare l’economia. I colpi di testa dei vari leader finora è riuscito a contenerli, affidandosi ad una mirabile virtù: la pazienza. Spesso e volentieri l’economista ha scelto la via della lusinga, della seduzione (si veda il caso del M5s), altre volte ha semplicemente temporeggiato, tenendo in sospeso una decisione, proprio per concedere a chi gli stava di fronte le ore necessarie per capire che fosse in errore. Difficile pensare che quella strategia, così raffinata, possa aver successo anche oggi. Anche perché con Giuseppe Conte non c’è chimica. Inutile girarci intorno, anche ora che i due si danno del ‘tu’, sembrano parlare due lingue diverse. Troppo distanti, diversi.
Il governo ha incassato la fiducia della Camera posta sul dl Aiuti, con 410 sì, 49 no e un astenuto. Il decreto passerà al Senato che dovrà esaminarlo entro il 16 luglio. Ieri l’incontro tra Draghi e Conte. E lo strappo, che tanti evocavano, non c’è stato ma il leader grillino ha messo in guardia la stampa: “Valuteremo il sostegno quando avremo risposte concrete”. Oggi poi un altro annuncio, stile ‘Dynasty’ – perché in questi lunghi mesi la politica italiana non ha mai abbassato i toni, anzi ha assunto i contorni della soap opera – dell’ex avvocato del popolo: “Sul dl Aiuti votiamo la fiducia, al Senato vedremo. Noi vogliamo collaborare con il governo”. La maggioranza traballa e da Bruxelles hanno ragione ad agitarsi. Anche perché senza il suo timoniere, in balia della tempesta, l’Italia potrebbe tornare ad essere il fianco molle dell’Ue. “Andiamo verso periodi in cui potremmo avere acque ancora più agitate di quelle che abbiamo adesso. Tutto suggerisce di non agitare troppo la barca. Mi auguro che anche in Italia, come in altri Paesi, prevalga questo sentimento. In questo momento la stabilità è un valore da preservare”, le parole del Commissario Europeo Gentiloni. Draghi, nel frattempo, non si è lasciato intimidire dalla messa in mostra di muscoli, tira dritto. È “il governo del fare”, l’ha detto anche all’ultima conferenza stampa. Ed è l’azione la miglior risposta, l’esempio di come si realizza una buona politica.