“Il centrodestra è morto, evviva il centrodestra”. Nessuno, se non qualche voce fuori dal coro, lo dice, ma quello che una volta era stato il blocco inscalfibile del centrodestra non esiste più. E non lo certificano solo le analisi degli osservatori più attenti, ma anche i dati emersi dalle urne delle ultime elezioni amministrative, dove è evidente che quella comunità sociale che votava compatta per i tre partiti del fu centrodestra si è sfaldata. Lo dicono l’astensione, specie al Nord, dovuta non solo ad un distacco dalla linea, in ordine sparso, di Lega, FI, e FDI, e la distanza dalla deriva estremista assunta irreversibilmente dalla “coalizione”.
Lo spiega bene oggi Pierluigi Battista. “Sul centrodestra al collasso è tutto un fiorire di spiegazioni che spaziano dalle ambizioni personali alle antipatie, dai dispettucci alle rivalità nei sondaggi, ma mai che si dica che il blocco sociale del centrodestra si è sfaldato, che i ceti produttivi del Nord disertano le urne, che l’estremismo verbale non fa presa sul ceto medio che è stato il nerbo di almeno vent’anni dell’esperienza di governo, locale e nazionale, del centrodestra – scrive -. Il centrodestra di prima sta facendo la fine dei repubblicani francesi orfani del gollismo, spianati da una destra aggressiva, popolarissima ma che non avrà mai la maggioranza dei voti, come dimostra l’intera parabola politica di Marine Le Pen, svuotata dal voto di protesta dei gruppi sociali che un tempo gli erano fedeli. Ma almeno in Francia hanno l’alternativa Macron, qui invece solo inseguimento delle frange arrabbiate, dai no green pass alle corporazioni riluttanti a una riforma in senso moderno. E poi parlano delle antipatie e delle rivalità. Populisti senza popolo, il peggio che possa loro capitare”.
Battista, peraltro, nel fare riferimento all’astensionismo del ceto medio che non si fida più di questo centrodestra, non fa che rilanciare la necessità di una Buona Destra moderata, moderna e liberale. “Non ci sono programmi condivisi, non ci sono strategie di lungo periodo, non c’è alcuna tensione progettuale e ideale in quella coalizione, ma solo un’ammucchiata di partiti in perenne guerra civile, (auto)obbligati a stare insieme per evitare che vinca l’avversario – scriveva a tal proposito qualche giorno fa Filippo Rossi sull’HuffPost in merito al declino del centrodestra -. Nulla potrà dare a questo centrodestra quell’anelito ideale che sappia andare oltre la vittoria numerica alle prossime elezioni del 2023 per tradursi in una visione seria e moderna dell’Italia di domani. Invocare l’unità per l’unità significa esclusivamente puntare a una vittoria fine a sé stessa, priva di sostanza e di contenuto. In altre parole, significa rimanere nella bolla in cui ormai il centrodestra si è cacciato da svariati anni, proprio da quando la destra moderata ha smesso di fare il proprio lavoro e si è schiacciata sempre di più sulle posizioni sovranpopuliste”
“E’ giunta l’ora che le componenti moderate di questo centrodestra riconoscano che il problema è questo bipolarismo muscolare che trasforma le coalizioni in prigioni obbligando i partiti (sedicenti?) liberali ad alleanze improbabili con ‘alleati’ che non hanno nulla a che fare con europeismo, laicità, liberalità – ancora Filippo Rossi -. È la destra moderata e liberale, la Buona Destra, che avrebbe il dovere morale di distruggere questo schema primordiale, invece di arrampicarsi su improbabili e scivolosissimi specchi che la fanno sempre più sprofondare nella fossa dei leoni sovranisti”.