“L’esercito russo passerà alla storia come il più barbaro e disumano del mondo”. Queste parole sono state usate qualche giorno fa dal presidente ucraino Zelensky e, purtroppo, rispondono a verità. A dirlo sono i fatti, i numeri, le cronache di guerra che vengono raccontati giorno dopo giorno dagli inviati: storie di torture, mutilazioni, stupri, esecuzioni di civili inermi che fanno male e mortificano l’umanità intera.
Ieri, la massima autorità giudiziaria ucraina, Iryna Venediktova, si è collegata con i 45 colleghi dei Paesi membri del Consiglio d’Europa riuniti a Palermo, e ha raccontato la tattica delle forze armate russe, così come emerge dalle indagini: prima le cose, poi le persone. “Fin dai primi giorni – ha detto la procuratrice generale – hanno preso di mira 5.137 edifici civili con bombardamenti indiscriminati”, che hanno già distrutto 1.584 istituzioni educative e 340 strutture mediche.
“Ma quando è diventato evidente che non potevano prendere il controllo della capitale e decapitare il governo, hanno iniziato a colpire massicciamente i civili come forma di punizione, seminando paura e terrore con atrocità di portata crescente”. Oltre a Kiev, Bucha, Irpin, Borodianka, Hostomel, “abbiamo situazioni simili in altre aree, e solide prove che i civili siano intenzionalmente presi di mira in modo diffuso e sistematico”, anche se i russi si
stanno attivando “per coprire le tracce e depistare le indagini”.
Il catalogo delle brutalità comprende “corpi che giacciono allineati nelle strade, con mani legate e chiari segni di torture e mutilazioni; alcuni ancora con le biciclette o i cani, altri colpiti mentre cucinavano su fuochi di fortuna. Corpi di donne e bambini violentati e parzialmente bruciati sull’asfalto. Una camera di tortura a Bucha, per civili disarmati prima seviziati e poi fucilati. E violenze sessuali documentate con prove crescenti nelle regioni di Donetsk, Zaporizhia, Kiev, Lugansk, Kharkive Kherson”. Tra le 25 vittime di stupri, una è un minore. Altre otto indagini riguardano la deportazione in Russia e Bielorussia di 2.420 bambini.
Nelle zone prese d’assedio “le forze russe stanno deliberatamente bloccando i corridoi umanitari per la consegna di cibo e medicine, nonché l’evacuazione di donne, bambini e anziani”. Caso limite è Mariupol, “una volta bella” e ora distrutta per il 90%, “con centinaia di civili e 500 soldati feriti ancora intrappolati nell’acciaieria Azovstal”. La magistratura ucraina indaga su quasi 10 mila segnalazioni di crimini di guerra “e il numero cresce ogni giorno”. Quindici russi sono formalmente incriminati. Una separata inchiesta ipotizza il reato più grave del diritto umanitario: il genocidio.
Ma da soli non ce la facciamo, avverte la procuratrice. Difficile individuare colpevoli e testimoni (molti fuggiti all’estero), nonché trovare attrezzature di medicina legale e tecnologie informatiche per gestire la massa di denunce. La cooperazione internazionale è necessaria “per farla finita con l’impunità dei colpevoli a tre livelli; soldati, capi militari, leader politici”. Corte penale internazionale ed Eurojust collaborano; Polonia e Lituania hanno avviato indagini congiunte. Altri 16Stati hanno aperto inchieste autonome. “Mi appello a voi, non perdete l’attimo, contiamo sul vostro aiuto”, ha concluso Venediktova. “Vi aiuteremo in questo compito difficile”, ha detto senza esitazioni il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi.
Merita di essere menzionato, in questo contesto, lo straordinario lavoro del giornalista investigativo Dmytro Replianchuk. “Si vantano sui social dei loro massacri: io gli dò un volto”. Sì, perché per avere giustizia non bastano i nomi e i cognomi di chi è accusato di essere un criminale di guerra: i testimoni hanno visto gli occhi, i visi, il ghigno, ma non possono sapere chi fossero quei ragazzi russi in divisa. Fondamentali, quindi, sono le foto. E Replianchuk non ci dorme la notte: rovista nei social network, persino tra gli utenti dei videogiochi, pur di trovarle e consegnarle a chi indaga sugli eccidi dei civili.
E per loro, criminali, non si sarà alcun diritto all’oblio, perché nei circuiti dei social e del web non scompare nulla: la memoria delle atrocità commesse rimarrà scalfita per sempre.