Il senatore leghista Pillon è sempre in prima linea. Non certo sul fronte della guerra in Ucraina, ma su quello televisivo e dei social. L’ultima battaglia mediatica Pillon ha deciso di combatterla disertando la Camera in occasione del discorso del presidente ucraino Zelensky di martedì. Perché mai? Presto detto. Pillon si è iscritto all’inedito partito leghista arcobaleno del “dobbiamo dialogare con tutti”, della serie, se parla Zelensky bisogna invitare anche Putin.
Questa equivalenza morale è tipica di chi, dopo aver incrociato sulla sua strada politica il putinismo, e averne presumibilmente apprezzato il modello modernista e reazionario, ora, con le bombe che cascano a grappolo sui civili in Ucraina, si trova, come dire, leggermente spiazzato. Tanto più che dopo essersi erti a difensori del popolo della famiglia, ora vedere famiglie ammazzate, disperse, deportate, rifugiate, nascoste sottoterra, presuppone una scelta di campo. Tra oppressi e oppressori.
La verità è che Pillon incarna perfettamente quella nuova leva di politici italiani bravissimi sui social finché non si sbatte a muso duro con la realtà. Proporre tesi del tutto improbabili – il senatore tempo fa è riuscito nella non facile impresa di trovare una quadra tra eutanasia, pandemia e guerra in Ucraina – può servire certamente ad avere likes su Feisbuc e qualche ospitata radiotelevisiva. Ma quando poi devi fare i conti con la guerra, quella vera, di questa comunicazione si scopre l’enorme vuoto virtuale.