Eppure ritornano!
Sembrerebbe il titolo di un film horror, ma invece è la riproposizione dell’Unione 2.0 quasi 20 anni dopo.
Ricorreva l’anno 2006, e per battere (o tentare di battere) l’odiato Berlusconi, sotto la guida di Prodi, fu inventata l’Unione: una mega coalizione che racchiudeva di tutto, con un programma mastodontico di 600 pagine dove nelle seconde 300 c’era scritto tutto il contrario delle prime. In pratica, ogni gruppo, partito, associazione aveva le sue paginette a giustificazione della propria adesione.
Lo spocchioso Prodi andava dicendo che era lui l’anello di congiunzione di tutti e di tutto, come se quel tomo fosse stato scritto tanto per fare ma il vero verbo lo dettava lui. Considerando che si votò nuovamente nel 2008 e il tempo tecnico di scioglimento delle camere, possiamo dire che quella colossale scemenza durò circa un anno e mezzo, con tanto di ministri che manifestavano contro il governo dichiarandosi per giunta progressisti. Alle elezioni, logicamente, rivinse Berlusconi e meno male che Veltroni tentò, con le tesi del Lingotto, di dare un’anima blairiana al neonato PD, frutto della fusione a “freddo” tra DS e Margherita, riuscendo a tenere botta, ma la setta cattocomunista non vedeva l’ora di fargli pagare l’alto tradimento: il blairismo.
Eccoci dunque, quasi vent’anni dopo, dal palco della Bolognina, la stessa storia. Certo, Berlusconi è morto, Prodi è ancora in vita, ogni tanto lo fanno parlare come l’oracolo dei tempi antichi. Potrebbe fare il padre nobile, ma non se lo fila più nessuno. Il cattocomunista per eccellenza, quel tale Massimo D’Alema, ancora non si vede, e il buon Floris mantiene a galla la seconda scelta: Bersani. Il nemico ieri come oggi è la “destra“, ieri guidata da Berlusconi, oggi dalla Meloni, ma la logica non cambia: tutti insieme contro. Questo mantra mai sopito del centrosinistra italiano ora riprende vigore sull’onda francese, senza la benché minima analisi politica; semplicemente, bisogna montare sul cavallo in corsa.
Al raduno dei reduci mancavano Renzi e Calenda. Il primo ha già fatto intendere che sarà il prossimo; il secondo, in base a un usurato copione, tenta di resistere, ma a un campo largo senza se e senza ma, unito allo scopo unico “di battere le destre”, prima o poi, più prima che poi, cederà al richiamo della foresta. Per entrambi ormai vale l’abbandono di qualsivoglia istinto riformista o pseudo-liberale. Battuti alle europee, cercano approdi autoreferenziali sicuri che solo il “partitone“, ieri PCI, oggi PD, può garantire. In fondo, tanto Italia Viva quanto Azione non hanno mai ripudiato il campo della sinistra, smarcandosi da una propria sudditanza intellettuale anche dal PD contemporaneo, dalla segreteria sardin-grillina, di piazza e di slogan e di palco come una soubrette mancata: vedi il Roma Pride.
Con buona pace delle tante parole spese a favore di Ucraina e Israele, un campo largo che si crea verso le posizioni filoputiniane, anti-occidentali pacifiste, senza dimenticare l’antisemitismo e l’antisionismo tutto in chiave anticapitalista, non è solo dei 5 Stelle e di Avs, ma anche dello stesso Partito Democratico, dell’ANPI, della CGIL di Landini e via discorrendo, con buona pace dei sedicenti “riformisti” del PD intenti più che altro a difendere se stessi e il proprio strapuntino. Posizioni distanti su tutto non si direbbe, ma anche se fosse poco importa se il fine superiore è quello di battere i fascisti, anche se tale parola non la si dice apertamente, e in questo una “spacca teste” come la Salis può far comodo secondo quanto tramandato per lustri e lustri dell’antifascismo militante. Intanto una bella cantata ci sta proprio bene e tutti sul palco e in sala a battere le mani intonando la mitica “Bella ciao“.
E il Paese? Nulla cambia, anzi continuerà a essere garantito il disegno strategico populista sovranista illiberale: anti-impresa, statalismo, iperburocrazia, assistenzialismo, giustizialismo e, sia pure in forme diverse, integralismo, a salvaguardia della società chiusa, in piena ostilità con la società aperta.
Quindi? Il nodo centrale è sempre quello di dare vita a un partito convintamente europeista, saldamente ancorato alla tradizione atlantica, con l’intento di realizzare la rivoluzione liberale che determini il superamento del consociativismo cattocomunista. Al fronte popolare dell’Unione 2.0 va anteposto il fronte liberale e Calenda si metta l’animo in pace: non sarà e mai potrà essere un tutti dentro Azione sotto la sua guida. Abbiamo già dato.