di Massimiliano Sammarco
Una proposta di riforma dal basso, scritta dai lavoratori per i lavoratori, che nei suoi presupposti risponde a un principio apparentemente elementare eppure non riconosciuto: “Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione”.
La proposta di legge è stata cofirmata da 26 parlamentari. Si tratta di una iniziativa che ha l’obiettivo di incidere in maniera decisa contro gli abusi delle aziende e di prevedere strumenti reali e concreti per proteggere i posti di lavoro in un mercato sempre più selvaggio e dominato da multinazionali che negli ultimi mesi hanno abituato a licenziamenti di massa e chiusure di interi stabilimenti produttivi da un giorno all’altro. Un implicito segnale del fatto che gli operai non hanno particolari aspettative verso il cosiddetto “decreto contro le delocalizzazioni” proposto al governo da 5 Stelle e Partito Democratico: una norma dalla cui bozza è scomparso ogni richiamo alle sanzioni verso le aziende che non rispettino gli accordi, e che quindi – anche in caso di approvazione – rischia di non servire quasi a nulla.
Rischia di non servire a nulla soprattutto perché non è questa la strada per mantenere ed incentivare gli investimenti stranieri in Italia: minacciare non serve! Serve attirare !
Ci aspetta una grande sfida per l’Italia: anche quella delle riforme fiscali ed economiche è una grande sfida nella grande sfida.
Il fulcro su cui si muove tale riforma fiscale è il doppio binario del pubblico e del privato; il pubblico interviene nelle grandi opere il privato entra con le sue attività imprenditoriali a sostegno del pubblico ma anche per realizzare progetti industriali innovativi che creano occupazione, aiutano la cultura e redistribuiscono ricchezza tra i cittadini.
Considerando la situazione critica e tragica in cui ci troviamo si chiedono e si propongono misure straordinarie e riforme straordinarie per trasformare l’Italia definitivamente in un paese all’altezza delle sue possibilità.
Queste riforme devono guardare non a domani ma ad uno sviluppo di decenni a futuro con una visione moderna, inclusiva e produttiva.
Il principio ispiratore è quello dell’investimento : se attiro attività sul territorio con incentivi fiscali a breve termine , a lungo termine creo un indotto economico di crescita e di ricchezza (non solo economica ma soprattutto culturale). Con un piano così strutturato anche le imprese straniere potranno decidere non solo di stabilirsi in Italia ma anche di non andare via !
Dal 1987 l’OCSE dice all’Italia che la nostra pressione fiscale era troppo alta, che avevamo il record mondiale di numero di leggi e leggine e che la nostra burocrazia era una giungla! E’ passato tanto tempo dal 1987 ma le cose non sono migliorate anzi direi forse peggiorate.
Negli altri Paesi occidentali si sente un’unica voce e musica : burocrazia semplice, tasse eque, incentivi ed aiuti alle imprese sia sul mercato nazionale che internazionale, il vero fisco amico, la possibilità di interloquire con qualsiasi apparato e livello dello Stato, normative chiare e immediata elasticità a modificare indirizzi e norme a secondo delle nuove situazioni che si presentano nel mercato.
In Italia non riusciamo ad andare avanti sulle riforme e sulla grande rivoluzione dell’apparato amministrativo: dobbiamo creare le condizioni per essere centrali e punto di riferimento anche nelle operazioni economiche internazionali così come fanno le altre nazioni. Le imprese cercano condizioni ottimali dove poter investire e produrre : incentivi che si possono dare per il fatto di assumere personale locale , per il fatto che si porta nuova tecnologia e Know How sul territorio, per il fatto che le vendite poi fatte sul mercato internazionale possono essere tassate in modo diverso e quindi con delle aliquote più basse rispetto all’aliquota ordinaria , per fatto che mi sia concesso di operare anche come un holding di partecipazione a tutte le proprie succursali nel mondo e quindi anche qui con trattamento differente rispetto alla normale tassazione dei dividendi ricevuti da succursali straniere etc etc (qui l’elenco delle possibili azioni di riforma sono veramente infinite!).
Ancora: le infrastrutture ed i collegamenti sono fondamentali per la crescita economica ed imprenditoriale di una area geografica. Dal primo gennaio 2018 c’è una legge in vigore in Italia che riguarda la Zona speciale Economica che riguarda tutti i porti del sud d’Italia scritta e realizzata sui modelli delle zone franche di Barcellona, Rotterdam, Suez etc etc. ma nessuno quasi lo sa e la cosa più grave che nessuno fa niente per portare avanti questi progetti! Una legge fatta e scritta benissimo che però nella realtà non trova applicazione per l’incompetenza e il disinteresse delle parti in gioco (pensiamo all’indotto che si potrebbe creare facendo funzionare a regime una simile iniziativa).
Quindi o non riformiamo nulla o se lo facciamo poi non applichiamo!!
C’è NON volontà di portare avanti i grandi cambiamenti strutturali di cui ha bisogno la nostra nazione! La NON volontà è sintomo di ignoranza (nel significato prettamente latino della parola cioè di colui che non sa) e quindi di paura di affrontare il cambiamento. E’ anche di fondamentale importanza cercare di trattenere nel nostro territorio le imprese italiane e di non farle scappare all’estero e questo lo si fa esattamente come appena ho precisato sopra.
Un esempio per tutti: ricordiamo il caso FCA che ha traferito la sede da Torino a Londra ed Amsterdam. Quando finalmente la FCA FIAT è diventata una impresa privata grazie a Marchionne, ha cominciato a studiare ed a verificare dove poteva avere più vantaggi legali-fiscali-economici rispetto all’Italia ; fatto il cambio ed il trasferimento della sede, immediatamente tutti in Italia contro Marchionne che era diventato un traditore delle patria etc etc !!! Uno Stato illuminato avrebbe semplicemente cercato di capire perché l’impresa stava trasferendo la sua sede all’ estero e poi semplicemente cercare di ricreare in Italia quelle stesse condizioni (o migliori ) economiche-giuridiche che la FIAT FCA aveva trovato all’estero.
Solo il castigo e la minaccia servono a poco !