L’Italia è stata la culla della cultura, delle arti, del diritto, del commercio da sempre: dall’ingegno etrusco all’Impero Romano, per passare poi al Medioevo e al Rinascimento. Lo stile e la cultura italiana hanno segnato lo sviluppo dell’umanità.
Dopo anni di buio, nel Rinascimento gli uomini di buona volontà avevano compreso, di nuovo, che la cultura, lo studio, le arti erano la base dello sviluppo sociale ed economico. E così è stato. La nostra storia ci ha visti protagonisti del mondo, ci ha visti primeggiare in tanti campi, nel passato come oggi. Basta vedere cosa abbiamo fatto noi italiani nel campo delle arti, delle scienze, dello studio, della ricerca, della tecnologia…
Siamo stati protagonisti anche in Europa, e tra i primi fondatori della moderna Unione Europea. Ne siamo stati capaci perché quelle doti, quelle capacità fanno indiscutibilmente parte del nostro dna. Non dobbiamo dimenticare che questa è ancora la nostra forza e che va alimentata, sostenuta da tutti, in primis dallo Stato e dalla buona politica.
Dobbiamo ricostruire anche un senso di appartenenza alla Patria, ormai quasi svanito, rialimentare i valori Costituzionali del diritto e dell’obbligo allo studio, della realizzazione umana anche attraverso il lavoro, che vanno ribaditi per il bene comune. Bisogna puntare ancora sull’istruzione e sulla cultura per riaffermare un principio imprescindibile: quello del merito.
Oggi tanti nostri giovani sono costretti ad andare all’estero per trovare fortuna; molti di loro non riescono a collocarsi nel mondo del lavoro perché gli studi fatti e i titoli conseguiti non sono adeguati alla realtà occupazionale. Questo è un dramma, un dannoso fallimento. Per le famiglie che fanno sacrifici, per i giovani che resteranno disoccupati, per l’Italia che non crescerà più. Dobbiamo invertire la rotta perché loro sono il nostro futuro; senza di loro l’Italia non ha un avvenire.
Il sistema scolastico e dell’istruzione è fondamentale e va ricostruito dalle basi, salvando quello che c’è di buono ed eliminando quello che non lo è. Trasformare e progettare, in una visione d’insieme, il futuro dei nostri ragazzi e della nazione; insieme, tutti insieme nessuno escluso.
Il progetto su cultura e istruzione della Buona Destra è ambizioso, molto ambizioso, perché mira a dare un contenuto “moderno” alla formazione dei nostri giovani, che li proietti efficacemente e con ambizione nel mondo del lavoro. Un progetto di vita che parte da quello scolastico con contenuti attuali, che accompagni poi i giovani nella scelta degli studi più appropriati da compiere, e infine che li conduca nell’inserimento nel mondo del lavoro, per valorizzare le competenze di tutti.
Tale progetto della Buona Destra può essere definito “Rinascimento culturale del sistema dell’istruzione”, e prevederà un’azione congiunta:
Prima di scendere nel dettaglio della proposta culturale e dell’istruzione della Buona Destra è necessario sapere, però, da dove partiamo. Non possiamo non esaminare, approfondire i dati oggettivi attuali, che fotografano il sistema scolastico italiano e che rappresentano la base su cui agire e progettare. Di seguito sono riportati analiticamente i dati ritenuti più attendibili, vicini alla realtà, certi, liquidi e non “manipolati”: essi sono quelli dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani che quantificano gli investimenti in termini economici, dell’Istat che rappresenta lo stato dell’istruzione e della Commissione Europea per il 2020 per un confronto del sistema scolastico italiano in rapporto e quello europeo e delle sue necessità.
LO STATO DELL’ARTE
I DATI DELL’ITALIA VISTI DALL’O.C.P.I. IN TERMINI DI INVESTIMENTO
LA SPESA PUBBLICA PER L’ISTRUZIONE
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (OCPI) del 2019 “La spesa per la pubblica istruzione”, “nel 2017 la spesa italiana per la pubblica istruzione ammontava a 66 miliardi di euro, leggermente meno della spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Valutando la spesa pubblica per istruzione sia rispetto al Pil, sia rispetto alla spesa pubblica totale, l’Italia si colloca agli ultimi posti delle classifiche europee e dalla crisi del 2007-08 in poi il divario con le medie UE si sta allargando. Il problema riguarda soprattutto l’istruzione terziaria. Tenendo conto della struttura demografica della popolazione, le spese per istruzione pubblica primaria e secondaria del nostro Paese sono poco sopra alle medie UE, mentre quella per istruzione terziaria è al penultimo posto in Europa. Nonostante il recente aumento di spesa privata, la situazione per l’istruzione universitaria è in peggioramento: la spesa complessiva è calata di oltre 600 milioni tra il 2010 e il 2015. L’Italia presenta anche un numero di laureati ben minore della media UE”.
NEL DETTAGLIO
Preoccupa anche l’andamento della spesa pubblica per istruzione. Dal 2007, infatti, la spesa per istruzione in percentuale di spesa pubblica totale è scesa di quasi due punti percentuali (Figura 2). Nello stesso intervallo di tempo la media UE è invece calata solo leggermente, passando dal 10,6 per cento al 10,2 per cento, il che significa che l’Italia oggi è più distante dalla media UE di quanto non lo fosse prima della crisi.
I dati più preoccupanti riguardano l’istruzione universitaria.Mentre nel 2017 l’Italia riportava cifre in linea con la media europea per l’istruzione primaria e secondaria (1,5 e 1,7 per cento del Pil rispettivamente, a fronte di medie UE di 1,5 e 1,9 per cento), si apre un grosso divario quando si considera la spesa per istruzione terziaria. Lo Stato ha speso, infatti, solo lo 0,3 per cento del Pil per istruzione terziaria, nemmeno la metà della media europea dello 0,7 (Figura 3). In questa voce l’Italia è all’ultimo posto in Europa, a pari merito con il Regno Unito.
Una possibile ipotesi è che la bassa spesa per pubblica istruzione si debba alla struttura demografica della popolazione, ossia che l’Italia spenda meno dei partner europei poiché ha meno giovani. Utilizzando la spesa media per popolazione 3-25 anni in pubblica istruzione in rapporto al reddito pro capite, indicatore che tiene conto sia del diverso numero di studenti sia del diverso livello delle risorse disponibili per finanziare la spesa, rispetto alle statistiche precedenti l’Italia migliora leggermente la sua posizione, avvicinandosi alla media UE ma restandone al di sotto di 1,4 punti percentuali di Pil pro capite (Figura 4). Compiendo questo esercizio per le tre principali categorie di istruzione (primaria, secondaria e terziaria) separatamente, emerge che il nostro Paese è leggermente al di sopra delle medie UE per la spesa media in istruzione primaria e secondaria (Figure 5 e 6), mentre è penultima in Europa per istruzione terziaria, con una spesa media in percentuale di Pil pro capite del 5,3 per cento a fronte di una media UE del 10 per cento (Figura 7). Pur controllando per la struttura demografica, quindi, la spesa italiana per istruzione terziaria è molto bassa.
In conclusione, anche tenendo conto degli aspetti demografici, l’Italia spende meno in istruzione terziaria rispetto agli altri paesi europei. Pur essendo difficile stabilire se la bassa percentuale di laureati sia un problema di domanda (i giovani non sono interessati ad iscriversi o a portare a termine il percorso) o di offerta (si spende meno e ciò riduce la qualità nell’istruzione terziaria e quindi l’interesse degli studenti), ciò non toglie che una seria lotta agli sprechi in altri settori potrebbe liberare risorse da far confluire nell’istruzione universitaria. Anche alla luce dell’effetto che l’istruzione terziaria ha sull’inserimento nel mercato del lavoro e sulla formazione del capitale umano, sarebbe auspicabile assestarci su una spesa per l’università più vicina alle medie UE ed OCSE.
I DATI DELLA COMMISIONE EUROPEA
Investire in istruzione e competenze è essenziale per migliorare i risultati economici dell’Italia. Per ottimizzare efficacemente il capitale umano in modo da metterne a frutto il potenziale serve un approccio a tutto tondo che abbracci l’istruzione, la transizione al mercato del lavoro e la formazione.
In tutte queste fasi permangono sfide importanti da affrontare.
Il tasso di abbandono scolastico, al 14,5 % nel 2018, resta ben al di sopra della media UE (10,6 %), registrando un peggioramento rispetto al 2017. Quasi il 20 % dei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni non è occupato né inserito in un percorso di istruzione o formazione: si tratta del dato più elevato in tutta l’UE. Anche il divario nei tassi di abbandono scolastico tra studenti nati e non nati nell’Unione è tra i più ampi dell’UE e si è sensibilmente allargato nel 2018 (24,3 punti percentuali, a fronte di una media UE di 11,2 punti percentuali). Il tasso di istruzione terziaria è tra i più bassi dell’UE, in particolare per gli studi scientifici o tecnici. L’ingresso nel mercato del lavoro per i giovani, anche se altamente qualificati, continua a essere problematico.
Istruzione pre-primaria, primaria e secondaria
La domanda di educazione e cura della prima infanzia è frenata da scarsa copertura, distribuzione geografica irregolare e costi elevati.
Sebbene la partecipazione dei bambini nella fascia di età 3-6 anni all’educazione e alla cura della prima infanzia sia pressoché universale, la percentuale di bambini di età inferiore a tre anni inseriti in strutture formali di cura dell’infanzia ammontava solo al 25,7 % nel 2018, con ampie disparità regionali. Si prevede che l’attuazione del “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni” previsto dalla riforma scolastica del 2015 migliorerà la copertura e ridurrà le differenze a livello regionale. La legge di bilancio deve incrementare la spesa per il settore.
In Italia l’istruzione scolastica produce risultati eterogenei in termini di conseguimento delle competenze di base.
Rispetto al 2015, nel 2018 i risultati dell’Italia nell’indagine PISA (il programma dell’OCSE per la valutazione internazionale degli studenti) sono rimasti sostanzialmente stabili in matematica e in lettura, ma sono peggiorati in scienze. La percentuale di studenti con basso rendimento è vicina alla media UE in lettura e in matematica, ma è più elevata in scienze. I risultati variano a seconda del tipo di scuola: gli studenti liceali ottengono punteggi significativamente più alti rispetto agli iscritti all’istruzione professionale. Il contesto socioeconomico ha un’influenza limitata sui risultati dell’apprendimento: la differenza è di soli 75 punti in lettura, a fronte di una media UE di 95. Riguardo alle aspettative di carriera, tuttavia, solo il 59,5 % degli studenti svantaggiati con un alto rendimento si aspetta di completare l’istruzione terziaria, contro l’88% degli omologhi socioeconomicamente avvantaggiati. Nel complesso, i risultati sono superiori alla media UE al Nord e notevolmente peggiori al Sud.
Le disparità tra le regioni nei risultati dell’apprendimento sono marcate e aumentano proporzionalmente al livello di istruzione.
Nonostante la quota del PIL stanziata per l’istruzione pre-primaria, primaria e secondaria sia sostanzialmente allineata alla media UE, i risultati scolastici sono inferiori a quelli degli omologhi europei e soggetti ad ampie disparità geografiche. In linea con i risultati della valutazione PISA 2018, le prove standardizzate dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) del 2019 evidenziano risultati uniformemente e sensibilmente migliori al Nord che al Sud in italiano, matematica e inglese. A questo fattore si sommano i tassi di abbandono scolastico più elevati nelle regioni meridionali. Contribuiscono a questi risultati le differenze nel contesto socioeconomico degli studenti e le disparità regionali nei rendimenti dell’istruzione. Tuttavia il fatto che i divari, trascurabili nei primi anni della scuola primaria, si amplifichino costantemente nel corso degli anni di studio suggerisce l’esistenza di differenze nella qualità dell’istruzione. Intervenire su queste disparità consentirebbe di avanzare in direzione dell’OSS 4 (istruzione di qualità). I progressi nel promuovere la valutazione della qualità nel sistema di istruzione sono lenti. In tale contesto è particolarmente importante che sia preservata l’autonomia delle agenzie nazionali di valutazione, INVALSI e ANVUR.
La carenza di insegnanti rappresenta una sfida importante.
All’inizio dell’anno scolastico 2019/2020, era coperto solo il 50 % dei posti disponibili. Le cattedre rimaste scoperte sono state occupate da supplenti, che attualmente rappresentano quasi il 12 % dei posti da insegnante. La carenza è più marcata in alcune regioni e per alcune materie, ad esempio le scienze. Nonostante vari tentativi di riforma, le procedure di selezione e assunzione degli insegnanti non garantiscono un’offerta sicura di docenti qualificati e adeguatamente formati. Gli stipendi bassi e le limitate prospettive di carriera rendono inoltre difficile attrarre i laureati più qualificati (Commissione europea, 2019). Il contratto nazionale non prevede incentivi legati ai risultati (previsti dalla riforma scolastica del 2015). Investire di più nelle abilità e nelle competenze professionali degli insegnanti sarebbe benefico anche per l’integrazione degli studenti con disabilità.
Istruzione terziaria
Nonostante i miglioramenti, il sistema di istruzione terziaria in Italia continua a risentire della mancanza di finanziamenti e il tasso di istruzione terziaria rimane basso.
I tassi di completamento e la durata media degli studi registrano miglioramenti, sebbene la spesa per l’istruzione terziaria, allo 0,3 % del PIL nel 2017, sia ben al di sotto della media UE (0,7 %). Nel 2018 anche la percentuale di 30-34enni con un livello di istruzione terziaria (27,8 %) era inferiore alla media UE (40,7 %). Tale divario è più ampio per la popolazione nata all’estero. Il contesto familiare è ancora un fattore determinante per il livello di istruzione: nel 2018 il 30 % dei laureati aveva almeno un genitore con istruzione terziaria, una percentuale che sale al 43 % per i corsi di laurea quinquennale (ad esempio medicina, ingegneria e giurisprudenza) (AlmaLaurea, 2019).
Il tasso di occupazione dei laureati rimane basso, mentre l’istruzione terziaria non accademica ottiene risultati migliori.
Il tasso di occupazione dei neodiplomati dell’istruzione terziaria (62,8 %) è in lenta ripresa dopo la crisi del 2008, ma resta ben al di sotto della media UE (85,5 %). Gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) offrono prospettive occupazionali sensibilmente migliori: l’80 % dei diplomati trova lavoro entro un anno. Gli ITS restano tuttavia un fenomeno di nicchia, che interessa soltanto il 2 % della popolazione studentesca. Per promuovere l’istruzione professionale di livello terziario, a partire dal 2018/2019 nelle università sono state avviate in via sperimentale le “lauree professionalizzanti”. L’obiettivo è formare figure professionali altamente specializzate e dotate di un titolo di istruzione terziaria in edilizia e ambiente, ingegneria, energia e trasporti, in stretta collaborazione con le associazioni professionali. L’apertura di nuovi percorsi di istruzione terziaria, in particolare per i diplomati dell’istruzione secondaria di secondo grado a indirizzo IFP (istruzione e formazione professionale) potrebbe aiutare l’Italia a ridurre il tasso di abbandono scolastico e ad aumentare il tasso di istruzione terziaria. Le limitate prospettive occupazionali generali spingono sempre più laureati a lasciare il paese (+41,8 % rispetto al 2013). La “fuga di cervelli” non è compensata da un analogo afflusso di persone altamente qualificate dall’estero: il saldo netto è dunque negativo.
Le iscrizioni all’istruzione superiore dipenderanno anche dalla capacità di promuovere il rinnovo del corpo docente.
Il calo del personale accademico non mostra segni di inversione di tendenza. Nel 2017 oltre un quinto aveva 60 anni o più e solo il 14 % aveva meno di 40 anni. Nel 2019 il governo ha stanziato fondi supplementari per 1500 posti di ricercatore universitario di tipo B, da ripartire tra le università pubbliche in base alle dimensioni e alla qualità della ricerca. A questo riguardo, il prossimo esercizio ANVUR di valutazione della ricerca scientifica, i cui risultati incidono per quasi un terzo sull’allocazione dei finanziamenti, è stato rinviato. Poiché la valutazione, riguardante gli anni 2014-2019, richiederà almeno un anno, fino al 2021 i fondi saranno stanziati sulla base dei risultati, ormai superati, dell’esercizio 2010-2014.
Istruzione professionale, apprendimento degli adulti e competenze digitali
Investimenti nel miglioramento del livello delle competenze e nella riqualificazione sono essenziali per la crescita e la competitività dell’Italia.
La percentuale di adulti senza un titolo di istruzione secondaria di secondo grado è elevata e la partecipazione all’apprendimento degli adulti rimane bassa. Nel 2018 il 38,3 % degli italiani tra i 25 e i 64 anni possedeva al massimo un titolo di istruzione secondaria di primo grado (a fronte di una media UE del 21,9 %) e solo l’8,1 % aveva avuto un’esperienza di apprendimento recente (11,1 % nell’UE). Il basso tasso di partecipazione degli adulti scarsamente qualificati alla formazione (2 %) è preoccupante, dato l’allargamento del divario tra il numero di posti di lavoro che richiedono basse qualifiche (2,5 milioni nel 2017) e il numero di adulti scarsamente qualificati (oltre 12 milioni). Occorrerebbero servizi di orientamento efficaci, ma la percentuale di adulti che vi ha fatto ricorso a titolo gratuito (il 10 % circa) è inferiore alla metà della media europea.
Sono state adottate diverse misure in materia di formazione professionale, ma la loro attuazione è ancora lenta.
Nell’agosto 2019 la Conferenza Stato-Regioni ha adottato il Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, che riguarda le qualificazioni dell’istruzione generale e superiore e le qualificazioni IFP. È atteso a breve un decreto ministeriale. È inoltre in programma una nuova rete nazionale di scuole professionali, intesa a migliorare la governance dell’istruzione e della formazione professionale, i centri professionali regionali e il loro collegamento con il mercato del lavoro. L’istituto dell’alternanza scuola-lavoro, recentemente rivisto, necessita di un monitoraggio attento.
Le lacune in termini di competenze digitali di base persistono e rischiano di ampliare il divario digitale.
Nel 2019 il 41,5 % della popolazione italiana possedeva almeno le competenze digitali di base (contro una media UE del 58,3 %) e soltanto il 22 % possedeva competenze digitali più avanzate, ossia superiori al livello base (contro una media UE del 33,3 %). Il recente progetto “Repubblica Digitale” è un passo avanti, ma l’Italia non dispone di una strategia globale orientata all’alfabetizzazione digitale della popolazione generale, al di là del Piano Nazionale Scuola Digitale. Servono investimenti in questo campo per accelerare la digitalizzazione dell’intera economia, compresa la pubblica amministrazione e prevenire l’allargamento del divario digitale e il rischio di nuove forme di esclusione sociale. Gli investimenti nelle competenze tecniche, scientifiche e digitali, benché fondamentali per l’innovazione, restano scarsi. Rispetto alla media UE, l’Italia riferisce una percentuale inferiore di laureati in scienze e ingegneria (12,2 % contro 15,5 %). Secondo Confindustria, la mancanza di laureati in discipline STEM potrebbe diventare un problema nel prossimo futuro, poiché saranno i settori delle TIC, della chimica e dei macchinari a creare la maggior parte dei nuovi posti di lavoro nei prossimi anni. Gli specialisti in TIC costituiscono solo il 2,8 % della forza lavoro (la media UE è del 3,9 %), mentre i laureati in discipline TIC rappresentano soltanto l’1 % del totale dei laureati, contro il 3,6 % a livello dell’UE. Inoltre le imprese italiane investono meno in formazione sulle TIC ai dipendenti rispetto alla media delle aziende UE. Nel contesto dell’aumento dell’automazione, nel 2019 il 53,9 % delle imprese italiane ha incontrato difficoltà nell’assunzione di personale per posti di lavoro che richiedevano competenze specialistiche in materia di TIC. A questo fattore si sommano i ridotti livelli di digitalizzazione delle aziende italiane e la loro attrattiva limitata per gli esperti digitali. Secondo il JRC, l’Italia è tra i paesi che rischiano di essere maggiormente esposti a futuri squilibri tra domanda e offerta di competenze digitali avanzate.
Investire nelle competenze può anche favorire la realizzazione del potenziale occupazionale della transizione verde.
In Italia il numero degli occupati in settori legati all’ambiente è in rapida crescita. Secondo stime di Eurofound (2019), l’adozione delle politiche necessarie all’attuazione dell’accordo di Parigi sul clima genererebbe un ulteriore 0,5 % di crescita dell’occupazione. Al contempo, la riallocazione della forza lavoro tra i settori sarà significativa (Commissione europea, 2019f). Gli investimenti in politiche di riqualificazione e miglioramento del livello delle competenze e l’elaborazione di strategie per anticipare le esigenze in termini di competenze sono fondamentali per dotare i lavoratori di nuove abilità.
CAPITALE UMANO – SISTEMA EDUCATIVO
Il sistema educativo di un paese e la sua capacità di fornire forza di lavoro qualificata sono da considerarsi fattori essenziali per la crescita economica. Politiche per l’istruzione ben congegnate sono risultate, in diversi contesti e in diversi momenti storici, essenziali per il superamento di fasi di crisi o rallentamento. Inoltre, la mancanza di opportunità educative riduce la probabilità di riuscire a sottrarsi a una condizione di disagio economico, poiché una bassa istruzione implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.
I giovani italiani sono più istruiti del resto della popolazione ma lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa è comunque marcato. La strategia Europa 2020 individuava tra i target per l’istruzione l’innalzamento della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario (con un obiettivo pari al 40%), considerato un elemento fondamentale per una “società della conoscenza”. Nel 2019, in Italia, la quota di giovani laureati è del 27,6% mentre l’Unione Europea nel suo complesso e grandi paesi come la Francia e la Spagna hanno già superato il target previsto. L’Italia resta al penultimo posto nell’Ue, sopra la Romania.
Bisogna sottolineare che la bassa quota di giovani con un titolo terziario risente anche della limitata disponibilità di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, in Italia erogati dagli Istituti Tecnici Superiori. Nonostante tali corsi siano diffusi solo in alcuni Paesi europei, in Spagna e in Francia danno origine a circa un terzo dei titoli terziari conseguiti.
Le prospettive occupazionali dei giovani laureati sono, in Italia, relativamente più deboli rispetto ai valori medi europei: la quota degli occupati tra i 30-34enni laureati non raggiunge l’80% (78,9%) contro un valore medio nella Ue dell’87,7%. Anche tra i giovani resta tuttavia importante – e di entità simile a quello medio europeo – il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma.
Il 24,6% dei laureati (25-34enni) ha conseguito il titolo nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche (STEM: Science, Technology, Eengineering and Mathematics), con un divario di genere molto forte: 37,3% degli uomini contro il 16,2% delle donne. Le quote si invertono per le lauree umanistiche: 30,1% tra le laureate e 15,6% tra i laureati. Anche le lauree nell’area medico-sanitaria e farmaceutica sono raggiunte più frequentemente dalle donne (18,2 contro 14,5% di uomini), mentre per l’area socio-economica e giuridica la proporzione è simile (35,5 tra le laureate e 33,2% tra i laureati).
L’attenzione alla scelta dell’indirizzo di studio universitario si riflette in importanti differenze tra i tassi di occupazione dei laureati per area disciplinare. Nel 2019, il tasso di occupazione della popolazione laureata (25-64 anni) raggiunge il livello più alto per l’area medico-sanitaria e farmaceutica (86,8%), seguono le lauree nell’ambito STEM (83,6%), quelle dell’area socio-economica e giuridica (81,2%) ed infine i titoli dell’area umanistica e servizi (76,7%).
Fenomeno contrapposto al pieno compimento del percorso di studi è quello dell’abbandono precoce del sistema di istruzione e formazione – Early Leavers from Education and Training (ELET) – che rientra anch’esso tra gli indicatori della Strategia Europa2020 (l’obiettivo è che la loro incidenza non superi il 10%). Nel 2019, la quota di 18-24enni che possiede al più un titolo secondario inferiore ed è già fuori dal sistema di istruzione e formazione si attesta in Italia al 13,5%, valore ampiamente superiore all’obiettivo che è stato, invece, quasi raggiunto dalla Germania e già superato da diversi anni in Francia.
L’abbandono precoce ha in Italia un effetto particolarmente negativo sulla capacità di inserimento nel mercato del lavoro: nel nostro Paese è occupato il 35,4% dei giovani ELET a fronte del 46,6% nella media Ue. Per contro, in Italia un ELET su due dichiara che vorrebbe lavorare a fronte di uno su tre in Europa.
La quota di giovani (15-29 anni) non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neanche impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training) è pari al 22,2% e corrisponde a circa 2 milioni di giovani. La quota di NEET è la più elevata tra i Paesi dell’Unione, di circa 10 punti superiore al valore medio Ue28 (12,5%) e decisamente distante dai valori degli altri grandi Paesi europei. La condizione di NEET è più diffusa tra le donne (24,3% contro il 20,2% degli uomini) indipendentemente dal livello di istruzione posseduto. Nel Mezzogiorno l’incidenza dei NEET è più che doppia (33,0%) rispetto al Nord (14,5%) e molto più alta di quella rilevata al Centro (18,1%).
Segnali più confortanti si riscontrano invece per il processo di transizione dalla scuola al lavoro, fenomeno che può essere colto utilizzando il tasso di occupazione dei 20-34enni – non più inseriti in un percorso di istruzione e formazione – che hanno conseguito il titolo di studio (secondario superiore o terziario) da uno a non più di tre anni.
In Italia, l’indicatore è pari a 58,7% (+2,2 punti rispetto al 2018), sintesi di un tasso di occupazione dei diplomati pari al 52,9% (+2,6 punti) e dei laureati pari al 64,9% (+2,1 punti). Ciononostante, i valori restano enormemente inferiori a quelli medi Ue, pari a 81,5% nel totale, al 76,4% tra chi ha conseguito un titolo secondario superiore e all’85,3% tra chi ha conseguito un titolo terziario.
Sulla base degli ultimi dati relativi alla spesa pubblica per funzione economica (Cofog), nel 2018 per l’Istruzione nella media Ue è stato destinato il 4,6% del Pil. L’Italia (4,0% del Pil) si colloca sotto la media europea e molto distante da Svezia e Danimarca, paesi in cui si registra la spesa più elevata (rispettivamente 6,9 e 6,4% del Pil) e in ritardo rispetto a Francia (5,1% del Pil) e Germania (4,2% del Pil).
PROGETTUALITA’ DELLA BUONA DESTRA
UN NUOVO RINASCIMENTO SOCIALE E CULTURALE
PREMESSE
Investire in maniera importante in istruzione e competenze è essenziale per migliorare i risultati economici dell’Italia. Per investire efficacemente nel capitale umano in modo da metterne a frutto il potenziale, serve un approccio a tutto tondo che abbracci l’istruzione, la transizione al mercato del lavoro e la formazione. Non solo. Servono grandi investimenti nelle infrastrutture scolastiche che consentano la realizzazione di nuovi adeguati complessi infrastrutturali, l’ammodernamento di quelli esistenti, se possibile, per renderli più funzionali, accoglienti e proiettati verso il futuro. La scuola e l’istruzione sono l’ossatura fondamentale del Paese. Il sistema educativo di un Paese e la sua capacità di fornire forza di lavoro qualificata sono da considerarsi quali fattori essenziali per la crescita economica e lo sviluppo sociale dell’uomo. La scuola deve intendersi non solo come istruzione in senso stretto ma anche come percorso di formazione culturale a tutto tondo che deve svolgersi all’interno di una infrastruttura adeguata, moderna e accogliente. La riforma della “scuola” che propone la Buona Destra deve comprendere tutti gli obiettivi sopra delineati che, vanno sviluppati, elaborati insieme all’interno di un grande piano di rilancio,attraverso politiche serie, progetti e vedute di ampio respiro anche a medio e lungo termine. Vanno sostenute sia la scuola pubblica che privata. L’Italia è stata la culla del rinascimento e deve tornare ad esserlo. La realizzazione dell’uomo attraverso un percorso di studio “adeguato ai tempi”, la formazione funzionale, lo sviluppo delle arti, dello sport e la possibilità di un lavoro dignitoso che consenta l’affermazione anche economica, sono anche dei capisaldi della nostra Costituzione, che vanno quindi riaffermati e posti a base dell’azione politica.
MAGGIORI PROBLEMI
Dall’analisi dei dati sopra delineati le problematiche più significative sono:
SOLUZIONI DELLA BUONA DESTRA
EDIFICI SCOLASTICI
La nuova visione del rinnovamento: il campus scolastico.
Gli edifici scolastici sono vecchi, spesso non a norma, inadeguati per le norme antisismiche, poco funzionali e architettonicamente brutti. Le strutture dei paesi più evoluti sono funzionali al raggiungimento degli ambiziosi progetti per gli studenti, sono edifici strutturati per ospitare tempo pieno e/o prolungato con mense e locali per attività extra curriculari.
Va presentato un grande piano al quale corrisponde un grande investimento pubblico per la realizzazione in tutto il paese di “campus di studio e culturali” che abbiano edifici funzionali, sale per l’arte, la musica, il teatro, laboratori, sale informatiche, le palestre, i campi sportivi, ecc.. Questo sia per le scuole di ogni ordine e grado che per le Università.
Va incentivata l’informatizzazione degli edifici anche nella prospettiva del 5G., edifici che devono essere ben raggiungibili anche con mezzi pubblici e dotati di comodi parcheggi. Su quelli eventualmente recuperabili vanno fatti investimenti per garantire la sicurezza, facilitare l’utilizzo anche da parte dei disabili e renderli architettonicamente più belli. L’Italia è apprezzata nel mondo per le sue bellezze; anche gli edifici scolastici devono essere rivisti in quest’ottica. Sarebbe significativo, come avviene in tutti i paesi del mondo, esporre le bandiere della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea in tutti gli edifici scolastici. L’investimento infrastrutturale deve essere visto come un investimento per le generazioni future, dai più piccoli ai più grandi, utilizzando sia risorse statali che quelle messe a disposizione dell’UE.
Istruzione pre-primaria, primaria e secondaria di primo grado
L’attuazione del “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni” previsto dalla riforma scolastica del 2015 migliorerà la copertura e ridurrà le differenze a livello regionale. Va incrementata la spesa per il settore. Promuovere anche un numero maggiore di nidi con gestione pubblico/privato e prezzi calmierati che consentano alle famiglie di lasciare i figli per andare a lavorare.
Nonostante la quota del PIL stanziata per l’istruzione pre-primaria, primaria e secondaria sia sostanzialmente allineata alla media UE, i risultati scolastici sono inferiori a quelli degli omologhi europei e soggetti ad ampie disparità geografiche. A questo fattore si sommano i tassi di abbandono scolastico più elevati nelle regioni meridionali. Contribuiscono a questi risultati le differenze nel contesto socioeconomico degli studenti e le disparità regionali nei rendimenti dell’istruzione. Tuttavia il fatto che i divari, trascurabili nei primi anni della scuola primaria, si amplifichino costantemente nel corso degli anni di studio suggerisce l’esistenza di differenze nella qualità dell’istruzione. Bisogna intervenire per ridurre queste disparità e il piano della Buona Destra va anche verso questa direzione perché riguarda tutto il paese. Vanno incentivati lo studio di materie scientifiche, dell’informatica, dell’educazione civica e delle lingue. Parimenti vanno incentivate e vissute nei “campus di studio e culturali”, anche con frequenza pomeridiana, le arti, la musica, il teatro, i laboratori scientifici, l’informatica, lo sport nelle palestre e nei campi sportivi, ecc.. Devono essere organizzati incontri con esperti che spieghino l’uso corretto e i pericoli che possono nascondersi dietro le nuove tecnologie dell’informatica, del web e dei social media. I progressi nel promuovere la valutazione della qualità nel sistema di istruzione sono ancora lenti. In tale contesto è particolarmente importante che sia preservata l’autonomia delle agenzie nazionali di valutazione INVALSI e ANVUR che vanno riviste per incrementarne l’efficienza. Va colmata la carenza di insegnanti qualificati e la loro formazione continua. Questo può avvenire anche attraverso la stabilizzazione dei precari storici per garantire continuità didattica agli studenti. In tale ottica va individuato un percorso unico di ingresso nella professione docente che garantisca un idoneo ricambio generazionale, tenendo conto anche delle diverse riforme che hanno illuso tante persone e creato disparità di trattamento nel corso degli anni.
Istruzione terziaria
Istruzione di secondo grado.
Nonostante i miglioramenti, il sistema di istruzione terziaria in Italia continua a risentire della mancanza di finanziamenti e il tasso di istruzione terziaria rimane basso. Il rinascimento culturale e dell’istruzione deve riguardare anche e soprattutto la scuola superiore di secondo grado. La vita e la partecipazione scolastica devono essere concepite, con la realizzazione dei campus accademici, verso un vero e proprio modello tipo “college”. Riguardo i tipi di istituti, in particolare, oggi gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) offrono prospettive occupazionali sensibilmente migliori: l’80 % dei diplomati trova lavoro entro un anno. Ma gli ITS restano tuttavia un fenomeno di nicchia, che interessa soltanto il 2 % della popolazione studentesca.
L’apertura di nuovi percorsi di istruzione terziaria, in particolare per i diplomati dell’istruzione secondaria di secondo grado a indirizzo IFP (istruzione e formazione professionale) potrebbe aiutare l’Italia a ridurre il tasso di abbandono scolastico e ad aumentare il tasso di istruzione terziaria, anche nel meridione.
Vanno incentivati, in tutti gli istituti, lo studio di materie scientifiche, dell’informatica, delle lingue, ecc.
Vanno rivisti i percorsi di studio, la durata, i programmi, i piani di studio, la formazione anche degli istituti liceali classici e scientifici per renderli più aderenti alla realtà storica e che portino gli studenti ad avere una spiccata preparazione, una specializzazione adeguata alla realtà socio-economica finalizzata a collocarli con efficacia nel mondo del lavoro.
Va progettato un piano di alfabetizzazione finanziaria e del diritto.
Parimenti vanno incentivate, anche con frequenza pomeridiana, le arti, la musica, il teatro, i laboratori scientifici, l’informatica, lo sport nelle palestre e nei campi sportivi, ecc..
Devono essere organizzati incontri con esperti che spieghino l’uso corretto e i pericoli che possono nascondersi dietro le nuove tecnologie dell’informatica, del web e dei social media.
Va rafforzato costantemente il dialogo con gli organismi rappresentativi del mondo del lavoro per l’elaborazione di piani e capire le reali necessità del mondo produttivo.
Va rafforzata la rete nazionale di scuole professionali, intesa a migliorare la governance dell’istruzione e della formazione professionale, i centri professionali regionali e il loro collegamento con il mercato del lavoro. L’istituto dell’alternanza scuola-lavoro, va migliorato, e necessita di un monitoraggio attento.
In questo contesto anche la carenza di insegnanti e la loro costante formazione rappresenta una sfida importante.
Nonostante vari tentativi di riforma, le procedure di selezione e assunzione degli insegnanti non garantiscono un’offerta sicura di docenti qualificati e adeguatamente formati; anche in tal senso è necessario un intervento.
Investire di più nelle abilità e nelle competenze professionali degli insegnanti sarebbe benefico anche per l’integrazione degli studenti con disabilità.
Gli stipendi bassi e le limitate prospettive di carriera rendono inoltre difficile attrarre i laureati più qualificati (Commissione europea, 2019).
Il contratto nazionale non prevede incentivi legati ai risultati (previsti dalla riforma scolastica del 2015); necessita anche intervenire in tale ambito.
Istruzione universitaria e post universitaria
Aumentare la spesa pubblica, sostenere le competenze tecniche, scientifiche e digitali.
Come sopra detto, nonostante il recente aumento di spesa privata, la situazione per l’istruzione universitaria è in peggioramento: la spesa complessiva è calata di oltre 600 milioni tra il 2010 e il 2015. L’Italia presenta anche un numero di laureati ben minore della media UE.
Tenendo conto degli aspetti demografici, l’Italia spende meno in istruzione terziaria rispetto agli altri paesi europei. Pur essendo difficile stabilire se la bassa percentuale di laureati sia un problema di domanda ciò non toglie che una seria lotta agli sprechi in altri settori potrebbe liberare risorse da far confluire nell’istruzione universitaria. Anche alla luce dell’effetto che l’istruzione terziaria ha sull’inserimento nel mercato del lavoro e sulla formazione del capitale umano, sarebbe auspicabile assestarci su una spesa per l’università più vicina alle medie UE ed OCSE. Gli investimenti nelle specifiche competenze tecniche, scientifiche e digitali, benché fondamentali per l’innovazione, restano scarsi e vanno sostenuti. Rispetto alla media UE, l’Italia riferisce una percentuale inferiore di laureati in scienze e ingegneria (12,2 % contro 15,5 %). Secondo Confindustria, la mancanza di laureati in discipline STEM potrebbe diventare un problema nel prossimo futuro, poiché saranno i settori delle TIC, della chimica e dei macchinari a creare la maggior parte dei nuovi posti di lavoro nei prossimi anni. Gli specialisti in TIC costituiscono solo il 2,8 % della forza lavoro (la media UE è del 3,9 %), mentre i laureati in discipline TIC rappresentano soltanto l’1 % del totale dei laureati, contro il 3,6 % a livello dell’UE. Nel contesto dell’aumento dell’automazione, nel 2019 il 53,9 % delle imprese italiane ha incontrato difficoltà nell’assunzione di personale per posti di lavoro che richiedevano competenze specialistiche in materia di TIC. Per promuovere l’istruzione professionale di livello terziario, a partire dal 2018/2019 nelle università sono state avviate in via sperimentale le “lauree professionalizzanti”. L’obiettivo è formare figure professionali altamente specializzate e dotate di un titolo di istruzione terziaria in edilizia e ambiente, ingegneria, energia e trasporti, in stretta collaborazione con le associazioni professionali. Vanno create e/o migliorate le lauree specifiche in tali settori. Inoltre fondamentale è l’attenzione alla scelta dell’indirizzo di studio universitario che si riflette in importanti differenze tra i tassi di occupazione dei laureati per area disciplinare. In tale ambito vanno create soluzioni che aiutino gli studenti nella scelta più appropriata. Le limitate prospettive occupazionali generali spingono sempre più laureati a lasciare il paese (+41,8 % rispetto al 2013) e sostiene l’abbandono scolastico. La “fuga di cervelli” non è compensata da un analogo afflusso di persone altamente qualificate dall’estero: il saldo netto è dunque negativo. La revisione del sistema come sopra delineata può ridurre fortemente il problema. Parimenti anche nel mondo Universitario vanno incentivate e vissute nei “campus di studio e culturali” le arti, la musica, il teatro, i laboratori scientifici, l’informatica, lo sport nelle palestre e nei campi sportivi, ecc. Infine i centri di collocamento e dell’impiego, come ora delineati, vanno rivisti per diventare realmente strutture di aiuto, accompagnamento e ingresso nel mondo del lavoro; le agenzie di collocamento al lavoro vanno parimenti sostenute.
Vanno sostenute anche le Università private.
Istruzione professionale, apprendimento degli adulti e competenze digitali
Gli investimenti nel miglioramento del livello delle competenze e nella riqualificazione professionale sono essenziali per la crescita e la competitività dell’Italia. Come detto, la percentuale di adulti senza un titolo di istruzione secondaria di secondo grado è elevata e la partecipazione all’apprendimento degli adulti rimane molto bassa. Il basso tasso di partecipazione degli adulti scarsamente qualificati alla formazione (2 %) è preoccupante,dato l’allargamento del divario tra il numero di posti di lavoro che richiedono basse qualifiche (2,5 milioni nel 2017) e il numero di adulti scarsamente qualificati (oltre 12 milioni). Occorrono servizi di orientamento efficaci, ma la percentuale di adulti che vi ha fatto ricorso a titolo gratuito (il 10 % circa) è inferiore alla metà della media europea. Inoltre molto preoccupante è il ricollocamento nel mondo del lavoro degli adulti in cerca di occupazione. Alcuni percepiscono il Reddito di Cittadinanza o altre forme di sostegno, ma pressoché nulle sono state le ricollocazioni nel mondo del lavoro per la loro bassa qualificazione e di istruzione non adeguata alle necessità del mondo lavorativo. Anche se percettori di sussidi vari, è comunque doveroso procedere alla loro riqualificazione professionale per ricollocarli nel mondo del lavoro, attraverso percorsi di studio e formazione specifici gratuiti; in tal senso i percorsi andrebbero resi obbligatori pena la perdita dei sostegni al reddito.
(a cura di Nicola Iuvinale)