Mario Draghi se n’è andato per paura, tanto era spaventato dalla terribile fase economica all’orizzonte. Sì, per Donna Giorgia, l’ex presidente della Banca Centrale Europea “sapendo che l’autunno sarà duro – ha detto alla Stampa – non voleva vedere l’arrivo della tempesta da Palazzo Chigi”. Perché lui no, proprio non avrebbe saputo come gestirla. Ecco qua: svelato l’arcano. E quindi, la leader di Fratelli d’Italia, che si candida a guidare il paese al suo posto, presenta la sua strategia: solida e compatibile con la nuova fase difficile. Ahivoglia. Infatti le sue proposte sono una bella e lunga lista della spesa senza coperture. La Meloni le ha annunciate durante la conferenza programmatica di Milano, circa tre mesi fa, quando stilò un elenco di voci incoerenti e incompatibili con la realtà.
Il punto forte del programma di Giorgia Meloni è la riforma fiscale, molto più audace di quella avviata dal governo Draghi che ha tagliato le aliquote e le ha ridotte da cinque a quattro. Fratelli d’Italia promette molto di più: una Irpef a tre aliquote, come quella promessa l’ultima volta almeno 11 anni fa da Giulio Tremonti (ma rimasta sempre lettera morta). I primi due scaglioni di reddito (0-15 mila e 15-28 mila) – ricorda il Foglio – vengono accorpati e tassati al 15% (anziché al 23 e al 27%); il secondo scaglione resta più o meno uguale, da 28 a 55 mila, ma con un’aliquota del 27% (8 punti più bassa); infine l’ultimo scaglione viene tassato al 42% (1 punto in meno dell’attuale aliquota). Fratelli d’Italia non ha fornito una stima dell’impatto finanziario, ma si tratta di una riforma che costa davvero molto, soprattutto per il primo scaglione. In questa fascia, siccome il taglio si applica a tutti i 30 milioni di contribuenti netti, la riduzione di un punto dell’aliquota costa circa 4 miliardi. Quindi – si legge ancora nell’analisi del Foglio – solo il taglio di 8 punti della prima aliquota costa 32 miliardi, a cui vanno aggiunti 12 punti in meno di aliquota dell’ex secondo scaglione, 8 punti in meno dell’ex terzo scaglione e 1 punto dell’ultimo. Il conto supera agevolmente i 50 miliardi di euro. Circa un quarto del gettito Irpef. A questa riforma va aggiunta la proposta di “flat tax del 15% sul reddito incrementale”, ovvero un’aliquota ridotta per la quota di reddito eccedente quello dichiarato l’anno precedente. Tralasciando il problema della violazione del principio di equità orizzontale (persone che guadagnano lo stesso reddito si troverebbero a pagare un ammontare diverso di imposte), i tecnici della Meloni non hanno quantificato il costo in termini di mancato gettito per lo stato.
Un’altra promessa di Fratelli d’Italia, di chiaro stampo berlusconiano, è l’aumento delle pensioni minime a 1.000 euro al mese per 6 milioni di persone. Costo: almeno 20 miliardi. Quali sono le coperture? La prima voce è lo “smantellamento” del Reddito di cittadinanza, anche se il partito della Meloni precisa che chi è in stato di bisogno deve continuare a percepire un sussidio, mentre il taglio riguarderebbe solo le persone in grado di lavorare. Facendo un po’ di conti, si può facilmente vedere come dei circa 3,4 milioni di beneficiari solo 1 milione di persone sono abili per il lavoro. Togliere il Rdc a queste persone comporterebbe un risparmio di circa 3 miliardi, incapaci di coprire neppure 1 punto di aliquota Irpef. L’altra voce di copertura è il solito sfoltimento delle tax expenditures, una selva di oltre 600 deduzioni, detrazioni, bonus e crediti d’imposta che costa circa 70 miliardi. Sebbene siano tante voci, sono poche quelle che valgono molti soldi e che nessuno intende ridurre (quelle che riguardano lavoro, casa e salute).
Ma il problema, come si è visto con le battaglie di Draghi sul Superbonus e sul Cashback (una persa e una vinta), è che nel concreto nessuno poi questi bonus vuole tagliarli. Tanto che anziché diminuire aumentano. E Fratelli d’Italia non si sottrae a questa legge ferrea. Infatti, il partito di Giorgia Meloni che vuole sfoltire le tax expenditures, non solo non ne indica una da tagliare, ma fa un lungo elenco di nuove spese fiscali da introdurre: bonus per il ricambio imprenditoriale degli artigiani, taglio degli oneri contributivi per i nuovi assunti (costo: 8 miliardi), decontribuzione per lo smart working, superdeduzione al 200% per il “personale eccedente”, taglio dell’Ires dal 24 al 15% per chi assume, superdeduzione per il costo del lavoro delle madri di figli piccoli, bonus baby sitter. Al di là della natura a volte incomprensibile di questi incentivi, è chiaro che siano una tax expenditure in più e non in meno, una spesa aggiuntiva e non una copertura. Subito dopo le elezioni, il primo atto del nuovo governo sarà la legge di Bilancio.
Si badi bene insomma, perché se la Meloni si prepara a sostituire Draghi con questo programma ad avere paura dovranno essere gli italiani. Altroché.