«Pensavano fossi una spia dell’Europa, per questo mi hanno sequestrato e picchiato». Comincia così il racconto choc del giornalista russo Pavel Broska Semchuk, che si era reso conto che il milione di mascherine che sarebbe dovuto arrivare a Napoli a marzo 2020, inviate da una presunta associazione culturale di Sebastopoli e da un gruppo di veterani della Flotta del Mar Nero, in realtà nascondeva altro. Forse, come scrive «Il Messaggero», che ha pubblicato l’intervista esclusiva, quella spedizione celava proprio un piano ordito dal Cremlino, per minare l’unità della Nato. Difatti l’Italia, accettando quell’aiuto dalla Crimea, si sarebbe messa in imbarazzo con gli altri alleati, che avevano già avvallato il primo pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’annessione.
Il sequestro di Pavel è avvenuto subito dopo la pubblicazione di un suo articolo sul sito «Crimea24» in cui questi voleva far chiarezza su quell’operazione andata poi in fumo. Altro che missione «Dalla Russia con amore». Dopo l’invasione dell’Ucraina Pavel è scappato ed è arrivato in Italia, temeva per la sua stessa vita: «Io amo il mio Paese, però non è possibile fare il giornalista libero in Russia e raccontare come vanno realmente le cose. O rimani lì e fai tutto quello che ti dicono oppure, per avere la libertà di scrivere ciò che vuoi, devi andare via, altrimenti ti multano o ti mettono in carcere», ha raccontato a Valeria Di Corrado. Lo stesso ha spiegato perché è stato licenziato: «A inizio pandemia, quando il Covid nel vostro Paese mieteva vittime, una tale Anna Kaskova, direttrice del Centro per la cultura e la lingua italiana di Sebastopoli, che in realtà aveva l’obiettivo di guadagnare e non di promuovere l’Italia, si era offerta di inviare un milione di mascherine. Io ho iniziato a fare un’indagine per capire dove fossero finite e perché non fossero arrivate a Napoli. Ho scritto sul sito internet di Crimea24 un articolo svelando che in realtà quelle mascherine non c’erano e da lì sono iniziati i miei problemi. Mi hanno fatto cancellare l’articolo dal sito e poi mi hanno ordinato di licenziarmi. Una notte, grazie a Dio non c’erano mia moglie e mia figlia in casa, sono arrivati degli agenti dei servizi segreti russi: hanno messo sottosopra tutto per cercare le prove che dimostrassero che lavoravo per gli europei».
L’hanno scambiato per una spia: «Mi hanno caricato in una macchina con i vetri oscurati, per non farmi capire dove stavamo andando, e portato in una stanza dove mi hanno tenuto per tre giorni. Ogni tanto qualcuno entrava e mi picchiava. Pensavano che prima o poi parlassi. Non riuscendo a ottenere alcuna confessione, mi hanno abbandonato per strada e mi hanno ordinato di tacere e non immischiarmi, altrimenti avrebbero saputo dove trovarmi». La moglie e la figlia si trovano ancora in Crimea: «Vorrei portarle in Italia perché ho paura che possa accadere loro qualcosa di brutto». Il suo desiderio? Continuare liberamente a fare il giornalista: «Il mio sogno è quello di aprire un giornale per dire la verità, poter scrivere tutto (…) Qui, ad esempio, mi sembra strano poter pronunciare finalmente la parola guerra. In Russia si può solo parlare di missione speciale. Vorrei chiamare questo giornale: “Radio free Russia”».