Stiamo messi affatto bene e il motivo è presto detto Nella campagna elettorale italiana c’è una presenza incombente che non dovrebbe esserci: Vladimir Putin, grato a coloro che hanno tolto di mezzo quello che considerava un suo inflessibile nemico (ovvero Draghi), il quale, per giunta, in virtù del proprio prestigio personale, era molto influente nello schieramento occidentale. E, adesso, sono due gli scenari che si prospettano: o un’Italia resa instabile dal voto, o la vittoria di uno schieramento nel quale abbiano peso e responsabilità partiti che gli sono amici o, comunque, non ostili.
Angelo Panebianco, sul Corriere, osserva che “in condizioni completamente mutate stiamo per assistere ad una nuova edizione delle elezioni del 18 aprile 1948. Anche oggi, come allora, l’Italia è chiamata a fare una scelta di campo. Ma con la fondamentale differenza che allora il campo occidentale era dotato di una fortissima leadership in grado di dare compattezza al suo sistema di alleanze nel confronto con l’Unione Sovietica mentre oggi il campo è pieno di buche, malmesso, diviso”.
Basti dare un’occhiata al panorama internazionale: Biden, ormai è debolissimo e presumibilmente dopo le elezioni di metà mandato perderà la maggioranza al Congresso; Macron non ha la maggioranza in un Parlamento pieno zeppo, a destra come a sinistra, di amici di Putin. Non è per caso che la putiniana Marine Le Pen si sia complimentata con i suoi sodali italiani per avere fatto cadere Draghi. La Germania è guidata da un debole cancelliere che non sa a che santo votarsi e, più in generale, da una classe dirigente che non ha ancora deciso che cosa il proprio Paese debba fare da grande. Una Germania debole significa, in prospettiva, una Unione europea tendenzialmente allo sbando. A tutto questo, si aggiunga la presenza di una quinta colonna di Putin entro l’Unione europea (Orbán) e di una Turchia che resta nella Nato solo perché si tratta di una carta, fra le molte che usa, che le fa comodo ai fini della sua autonoma politica di potenza. Anche se e quando tale politica entra in conflitto con gli interessi occidentali. E va detto, in questo contesto, che è inutile continuare ad invocare un’Unione politicamente forte, un esercito europeo, e tutti i soliti argomenti del repertorio «europeisticamente corretto».
Nulla di tutto ciò ci sarà mai se prima l’Europa non avrà affrontato e risolto i suoi problemi di leadership. Per ora, e per il futuro prevedibile, ciò non sembra possibile.
“Tutti coloro che pensano che quello occidentale sia il peggior mondo possibile esclusi tutti gli altri – osserva Panebianco – si sono rallegrati quando, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Nato si è di colpo rivitalizzata, i governi occidentali si sono ricompattati, Svezia e Finlandia si sono precipitate sotto l’ombrello militare occidentale. Si disse: Putin ha perso, scommetteva su un Occidente diviso e impotente, e invece lo ha rivitalizzato di colpo, gli ha dato una nuova «missione comune». Insieme ai cinesi, si disse, Putin dava per scontato che le deboli e decadenti democrazie occidentali avrebbero manifestato anche in questa occasione tutta la loro impotenza. A dimostrazione del fatto che, come Putin e i dirigenti cinesi pensano, il mondo futuro appartiene al potere autocratico, appartiene a loro”. E invece, forse abbiamo venduto troppo presto la pelle dell’orso, visto che è successo l’esatto contrario.
Tornando alla campagna elettorale sappiamo già quasi tutto: non si confronteranno «liberisti» e «statalisti» (il liberismo, se per tale si intende una politica alla Thatcher, non ha mai avuto corso in Italia). Ma modi diversi per amministrare la massiccia presenza dello Stato nell’economia e nella vita pubblica italiana. Ci sarà anche qualche flebile voce a favore della concorrenza (cruciale nella cosiddetta «agenda Draghi») a fronte di un tuttora potentissimo Paese dei «fasci e delle corporazioni»: tassisti e bagnini non sono affatto gli unici che beneficiano della possibilità di scaricare sui consumatori i costi delle proprie rendite di posizione. Forse l’Europa sarà presente nella campagna elettorale. Nel senso che tutti diranno di volere usare i fondi del Pnrr. Ma non tutti parleranno delle riforme (giustizia, Pubblica amministrazione e, appunto, concorrenza) necessarie per usufruirne.
Ci sarà un modo sicuro per sapere chi è schierato con chi, nel braccio di ferro planetario fra democrazie e autocrazie. Molti degli avversari di Draghi e che disapprovavano le sue scelte, cercheranno, durante la campagna elettorale, di parlare il meno possibile di politica internazionale. Si limiteranno a dire qualche banalità a favore della «pace», glissando sul fatto che la guerra non l’hanno voluta gli occidentali ma Putin. Si concentreranno invece sulle questioni interne ove è più facile mimetizzarsi. Faranno il possibile per non far capire agli elettori che c’è in ballo, prima di tutto, una scelta di campo. A per Panebianco, fra i nemici dell’alleanza occidentale, forse “solo i 5 Stelle assumeranno una posizione chiara, esplicita, pro-Putin. Soprattutto se, nel confronto elettorale, avrà un ruolo di rilievo Alessandro Di Battista. Gli altri, alla domanda «Lei è d’accordo con la politica estera di Draghi?», risponderanno «Sì, ma». Dove il «ma» sta per «ma anche no». Con i ringraziamenti di Vladimir Putin”. Un gran bel capolavoro, insomma.