«Temo i Greci anche quando portano doni», sono le parole che Virgilio nell’Eneide fa pronunciare a Laooconte nel momento in cui questi vuol convincere i Troiani a non accogliere nella città l’offerta di pace dei Danai. Beh, cavalli di Troia, che nascondono nel ventre demagogia, populismo e sovranismo, ci sono già nel perimetro del governo e il presidente del consiglio lo sa bene. Draghi ha capito che Lega e M5S rimpiangono i bei tempi andati, quando col vento in poppa governavano il Paese combinandone una dopo l’altra (pensiamo soltanto ai decreti sicurezza). E ora che in Francia Marine Le Pen si gioca l’Eliseo al ballottaggio con Macron, quella nostalgia canaglia è diventata ancora più acuta, facendo riemergere l’asse giallo-verde che non si è mai spezzato del tutto. Quel che però Conte e Salvini non hanno capito ancora è che a Draghi non manca certo l’accortezza politica. Il premier non li teme, o comunque non così tanto da cascare in qualche tranello.
Diciamo pure che i fatti per ora danno ragione a Draghi. Prendiamo il confronto di ieri su fisco e catasto. Altro che ‘resa dei conti’ o ‘l’ora della verità’. La minaccia di non votare la delega fiscale si è risolta con un secco «se ne occuperanno i vertici del Mef». Il confronto con Matteo Salvini della Lega e Antonio Tajani di Fi, come scrive Carmelo Caruso su «Il Foglio» si è chiuso così com’era iniziato: «Era soltanto voglia di fare ‘colazione dal premier’». L’ennesimo tentativo del segretario del Carroccio di guadagnarsi cinque minuti sotto i riflettori e nei notiziari della sera. Proprio come nei giorni scorsi aveva fatto Giuseppe Conte, contrario all’incremento della spesa militare fino al 2% del Pil. Anche in quel caso ne era seguito un faccia a faccia con il presidente del consiglio, che ha ricordato al leader del M5S gli aumenti di quando era premier lui. La capacità di Draghi è di spiazzare gli interlocutori.
Perché l’attuale presidente del consiglio è così: non ama perdere tempo. A maggior ragione ora che c’è un’agenda di governo da portare avanti. Non bada ai sondaggi, ai like sui social. Il premier ha questa capacità di dare importanza o liquidare senza tante storie chi gli sta di fronte, consapevole del suo ruolo istituzionale. Un banchiere che ha avuto modo di lavorare con lui, a tal proposito, ha detto: «Non hanno capito niente, in 10 minuti di colloquio Draghi può sfilarti i calzini senza toglierti le scarpe chiunque sia il suo interlocutore». Ma i “cavalli di Troia” nel governo, Salvini e Conte, non l’hanno capito. Certo, Draghi sa che ormai le forze politiche sono entrate in campagna elettorale e non mancheranno colpi di coda. Non sarà facile portare a compimento gli obiettivi del Pnrr e lo spettro dei ‘sabotatori’ pronti ad unire le forze è dietro l’angolo.
In più occasioni Lega e M5S hanno rifatto comunella: dal ritorno di fiamma sul Quirinale (Conte e Salvini spingevano prima per Franco Frattini poi per Elisabetta Belloni) alla lotta comune contro il Green Pass. «Il governo deve prendere atto di una situazione in netto miglioramento ed alleggerire le misure anti-Covid», le parole del leader penstellato, «in particolare l’obbligo di Green Pass rafforzato nei posti di lavoro per gli over 50: una misura giusta quando la curva era in salita, ma con i dati attuali restare a casa senza una retribuzione non è più accettabile». Salvini si era affrettato in quell’occasione ad aggiungere: «Bene Conte, la Lega non è più sola in questa battaglia: via subito l’obbligo sui luoghi di lavoro». Un flirt continuo destinato a crescere nei mesi che verranno, ne siamo certi. E siamo altrettanto impazienti di vedere quale sarà la risposta di Mario Draghi, che dal 1991, quand’era al Tesoro, sa bene come funziona la stanza dei bottoni.