ucraina

“Resteremo sempre dei criminali”, il grido degli intellettuali russi fuggiti da Mosca

Anna Zafesova in un reportage uscito su «La Stampa» ha raccolto le tante voci dei giovani e intellettuali russi, che sono scappati dal loro Paese, portandosi dietro il senso di colpa per la guerra che sta mettendo in ginocchio l’Ucraina. Tra le tante storie quella di Irina, fuggita con uno degli ultimi aerei dell’Aeroflot per Istanbul. Da lì ha preso poi un volo per Copenaghen. Ha dovuto penare per dimostrare di non essere un esponente del regime di Putin in fuga dalle sanzioni.

«Non potrò tornare nel mio Paese, per anni forse. E qui, in Occidente, resteremo sempre dei criminali. Ci metteremo decenni a farci perdonare quello che abbiamo fatto», ha spiegato Irina, che una volta rilasciata è entrata in un negozio per comprare una bottiglia di vino: «Non riuscivo a dormire, avevo davanti agli occhi le bombe che cadevano sull’Ucraina, e nelle orecchie la voce del poliziotto danese che mi chiedeva se sostenevo quella guerra». Alla cassa si è resa conto che la sua carta aveva già smesso di funzionare: «Il proprietario me l’ha regalata. Mi ha detto che ne avevo bisogno. Un momento che ricorderò per tutta la vita: io, appena fuggita dal mio Paese, con in mano una bottiglia di vino che non posso pagare, e un danese che ha pietà di me, nonostante io sia russa». Sente nostalgia del suo Paese Irina? A Mosca aveva una galleria d’arte, ma faceva parte di quei Russi che Putin accusa di essere «mentalmente di là», in Occidente. «Non posso vivere in un Paese dove non ho diritto a dire quello che penso. I miei genitori non lo capiscono. E non capiscono che mi vergogno a essere russa», ha spiegato.

Non meno duri i toni di Yuri Dud, il video blogger più popolare tra i giovani, che ha confessato sui social di provare verso l’Ucraina «vergogna e colpa». Come lui si sente il rapper Face, che ha dichiarato di non considerarsi più cittadino russo, di assumersi la colpa della guerra insieme alla «maggior parte del popolo e a tutta intellighenzia». Rammaricato per quanto sta accadendo anche Vladimir, professore di un’università statale che ora si trova a Berlino: «Vedo i miei concittadini affollarsi nei negozi per l’ultimo iPhone, e piangere per la chiusura di Instagram, e poi avere paura a scrivere su Facebook, mentre gli ucraini non temono di fermare a mani nude i carri armati russi».

La paura non è una giustificazione, nascondersi dietro lo slogan “La Russia non è Putin” non basta più. Di fronte alle immagini dei bambini estratti dalle macerie di Kharkiv tacere è impossibile: «È dura da guardare, ma dobbiamo farlo per accumulare rabbia verso i dementi che hanno coinvolto il nostro Paese in un crimine mostruoso», le parole di Nastia Kadetova, collaboratrice di Alexey Navalny di Pietroburgo. Bisogna rompere il vetro di cristallo della propaganda: quanto sta accadendo in Ucraina è tutto purtroppo dannatamente vero.