Va in scena in questi giorni il tentativo della politica di tornare a decidere in materia di Giustizia e di riforma dell’ordinamento giudiziario. Impresa colossale, titanica quasi impossibile, contro cui negli ultimi 20 anni si sono scontrati praticamente tutti i Governi. Poco importa il contenuto specifico delle varie ipotesi (che per forza di cose, avevano punti di maggior forza e punti di evidente debolezza); è proprio il tentativo stesso che Governo e Parlamento si riapproprino del loro ruolo decidente che le toghe davvero non tollerano.
La Giustizia si può riformare solo se ciò avviene sotto dettatura dei magistrati. Ogni opzione contraria è lesa maestà e, addirittura, complotto. Questo è ciò che i giudici hanno dato a intendere in oltre un lustro di storia patria. Mattia Feltri lo chiarisce molto bene in un recente articolo dove prende amaramente atto della irriformabilità della magistratura perché essa si auto percepisce come un vero e proprio contropotere. Attenzione! Non un potere dello Stato, la cui azione deve essere bilanciata nel rapporto con gli altri poteri, ma un vero e proprio Stato nello Stato, del tutto autoreferenziale.
Quale è il punto di partenza di Feltri? Una intervista recentemente rilasciata da Nino Di Matteo, eminente magistrato antimafia e oggi Consigliere del Csm, al Fatto Quotidiano. Nell’incipit di quella intervista già si rende evidente il frame mentale su cui si muove la magistratura italiana. Di Matteo dichiara che la riforma Cartabia è ispirata a “una voglia di vendetta nei confronti di quella parte della magistratura che è stata capace di portare a processo la politica, la grande finanza, le grandi deviazioni dello Stato”. In tre righe c’è tutto il Di Matteo-Pensiero (e non solo il suo, ovviamente). Se la politica vuole riformare la giustizia è per vendicarsi di una magistratura che ne ha svelato le oscure trame.
Et voilà! Siamo al complottismo giudiziario! Questa ci mancava. Da vent’anni ormai – come dice Feltri – stiamo assistendo al moltiplicarsi delle presunte controverità. A partire dal 11 settembre, che sarebbe stato ideato nientemeno che dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush assieme alla finanza ebraica, il cartello del petrolio e chissà chi altro. Poi la pandemia e i vaccini con microchip annessi, per finire alla guerra in Ucraina, che sarebbe solo una montatura organizzata, tanto per cambiare dagli Usa con la complicità del burattino Zelensky (e di tutti i governi europei) per far fuori il vero difensore della Tradizione, nonché eroe dei nostri tempi, Vladimir Putin.
Una parentesi a parte andrebbe fatta su Qanon e il trumpismo, ma si rischia di andare fuori tema. Rimaniamo al “core business” della tesi di Di Matteo. La moltiplicazione del complottismo, come bias cognitivo di chi non comprende la complessità e vuole ridurla a qualcosa di anche folle purché semplice, poteva mai risparmiare la giustizia e il rapporto tra politica e magistratura? Ovviamente no! – dice Feltri – anche perché gli ultimi 30 anni di storia italiana sono stati costruiti su una gigantesca fake news.
Da Tangentopli e Mani Pulite in poi, si è creato il mito di una magistratura eroica che libera il popolo sovrano da una politica corrotta, alleata della mafia e una massoneria neo piduista, sostenuta dall’estero in derive più o meno estremiste e golpiste. Il passo da questa visione macchiettistica e manichea della storia italiana degli ultimi lustri, alla necessità di portare a processo tutta la politica è stato breve. E infatti, prima il processo Andreotti, Enimont e, poi, quello sulla trattativa Stato-Mafia, vera e propria apoteosi del processo-complottista, hanno visto un impianto accusatorio mastodontico, mediaticamente e narrativamente molto efficace, ma giuridicamente poco sostanzioso. Infatti, si sono conclusi con un sostanziale flop dei Pm. In particolare, il processo sulla Trattativa è finito con una sequela di assoluzioni impressionante che, tuttavia, non restituirà mai l’onore e il decoro a tanti imputati innocenti.
Ed ecco che – secondo Di Matteo – il Governo dei Poteri Forti (come nell’immaginario collettivo, abilmente coltivato negli ultimi decenni, è percepito l’Esecutivo Draghi) sferra il suo ferale colpo contro la magistratura, rea di aver tentato di mettere in luce gli intrecci tra politica e finanza e deviazioni dello Stato (ma di che si parla esattamente?). E questo tipo di narrazione è dura a morire proprio perché portata avanti – in un gigantesco conflitto di interessi – dagli stessi protagonisti del processo. E nemmeno di fronte all’evidenza delle assoluzioni e, quindi, della infondatezza dell’impianto accusatorio, i Pm si rassegnano: Di Matteo ebbe a dire: “Nessuna sentenza potrà mai cancellare i fatti storici emersi in quel processo”. Un magistrato che ritiene che una sentenza assolutoria abbia sostanzialmente omesso di considerare i fatti storici emersi in giudizio è qualcosa di inaudito, ma, ahimè, coerente con quel “modus cogitandi” tipico di tanti giustizialisti: le sentenze van bene solo se sono di condanna.
Essendo queste le premesse, tentare di riformare una magistratura – ha ragione Feltri – è davvero impresa ciclopica. Ogni ipotesi di riforma proposta viene visto come un atto di guerra di un potere a un contropotere, peraltro immacolato a prescindere. Che poi il sistema giustizia stia affondando nelle pieghe di processi infiniti, non certo per colpa degli avvocati, di numerosi casi di ingiusta detenzione (e conseguenti risarcimenti a carico dell’Erario nazionale, cioè di noialtri), è tutto un sacrificio tollerabile in nome della guerra al potere, marcio per definizione. Giustamente, come fa notare Feltri, il merito della riforma, qualunque riforma, a questo punto, è dettaglio davvero trascurabile.