“Si vedono i primi bagliori della caduta di Putin”. Che le parole di Marco Minniti siano profetiche lo spera il mondo intero. Soprattutto oggi, dopo la scoperta di una camera delle torture in un villaggio vicino a Karkiv, che dimostra come il modus operandi di Vladimir Putin e dei soldati ai suoi ordini sia di stampo nazista.
In una lunga intervista all’Huffpost, l’ex ministro dell’Interno spiega che siamo, forse, nel momento più delicato della guerra. “Siamo ad un passaggio assolutamente cruciale, perché si è capovolta la situazione sul terreno: quella che fino a un paio di mesi fa era un’eroica lotta di resistenza del popolo ucraino è diventata un’importante, efficiente ed efficace offensiva militare”.
Reduce da un incontro sulla sicurezza dentro il Mediterraneo allargato, promosso dal Centro per gli alti studi della Difesa, il presidente della Fondazione Med-Or auspica che la prima sessione parlamentare, dopo l’insediamento, sia dedicata alla politica estera.
“L’offensiva militare ucraina ha già aperto il fronte interno alla Russia, anche qui rovesciando la prospettiva. Se, all’inizio, si diceva ‘il popolo russo è con Putin’ e l’azzardo di Putin si basava sulla scommessa che sarebbe imploso l’establishment ucraino, ora comincia ad affacciarsi l’incubo afghano. E cioè che l’Ucraina possa diventare per la Russia di Putin quello che è stato l’Afghanistan per l’Urss. La richiesta di una mobilitazione generale, le proteste, l’abbondono di 300mila giovani che hanno lasciato il paese: sono elementi che portano ad una rottura profonda dentro la società russa, con la ripresa di mai sopite tensioni e diffidenze in territori diversi come il Daghestan”.
E’ come, dunque, se iniziasse a manifestarsi un punto di rottura vero all’interno del tessuto connettivo nella complessa società russa. E non basta più la copertura che Kirill ha dato all’operazione con la sua chiesa ortodossa. “Lo dimostrano le tensioni anche nel gruppo più ristretto che sta attorno a Putin: per la prima volta inizia ad apparire il bagliore di un “regime change” in Russia. Scenario assolutamente impensabile fino a poche settimane fa”, osserva l’ex ministro. Che ammette: “È il momento del rischio della disperazione. Gli autocrati sanno che quando finisce una autocrazia, l’incenso può diventare fiamma. Il rischio è di non perdere soltanto il potere… Ed è in questo quadro che va discusso il rischio di un uso tattico dell’arma nucleare. In cui l’aggettivo tattico non fa venir meno il senso di una minaccia ‘assoluta’. Basta pensare alle parole solennemente pronunciate da Putin, in occasione del discorso sull’annessione farsa. Il fatto stesso che si possa discutere dell’eventualità di un attacco nucleare dà il senso del drammatico slittamento della fase”. E ammette anche che di fronte all’utilizzo del nucleare tattico, la Nato sarebbe chiamata a rispondere. “L’uso delle armi tattiche sarebbe l’ordigno fine mondo, non nel senso che muore il mondo intero, ma si aprirebbe una fase della vita del pianeta ignota e sconosciuta. Per questo bisogna chiamare tutti alle proprie responsabilità”. Quanto alla risposta di Zelensky, che con decreto vieta una trattativa con Putin, Minniti dice (checcé ne dica il professor Orsini): “Una reazione obbligata davanti alla assoluta radicalizzazione politica di Putin: il referendum farsa sull’annessione farsa. Non riconosciuto da nessuno, neanche dal Kazakhstan, il che la dice lunga sulla tensione tra le repubbliche asiatiche della federazione russa”. Secondo Minniti, Putin è convinto che, prima o poi, la grande alleanza delle democrazie occidentali – appunto perché democrazie e appunto perché occidentali – non ce la farà. “La partita energetica è emblematica, così come l’attacco a North Stream. Per fare un attacco a un condotto sottomarino a settanta metri di profondità ci vogliono grandi capacità operative, che non possono essere di gruppi spontanei ma solo di entità statuali”.
L’indice di massimo pericolo, insomma, è quello che deve suggerire il massimo sforzo. “È necessario che l’Unione europea, d’intesa con gli Usa, prenda un’iniziativa, sulla base di un doppio movimento, partendo da quei paesi che, pur essendosi schierati a difesa dell’Ucraina, hanno avuto un ruolo di dialogo”. Quanto all’Italia “l’interessa nazionale si gioca in gran parte fuori dai confini del nostro paese. La sua giusta rivendicazione deve essere coniugata con la consapevolezza che un pezzo importante del futuro dell’Italia e dell’Europa si gioca nel Mediterraneo allargato. È impossibile costruire le condizioni per un nuovo ordine mondiale senza un protagonismo e una soggettività geopolitica del Mediterraneo”. E al nuvo governo Minniti suggerisce, come primo atto dopo l’insediamento, “una sessione solenne a Camere riunite sulla politica estera dell’Italia. Perché la politica estera, anche nei momenti più difficili delle scelte di campo, non ha mai diviso radicalmente il nostro paese. Si dimostrerebbe che quello che è apparso un elemento divisivo trova un luogo di discussione che non può che essere il Parlamento. Poi sarebbe ancora più bello se quella discussione potesse concludersi con un documento largamente unitario”.