Superficialità sulla giustizia nel discorso di Giorgia Meloni con passaggi in qualche caso poco rassicuranti, come quelli sul carcere. La premier ricorda la “certezza della pena”, come “principio basilare” e rammenta che “è indegno di un paese civile che dall’inizio dell’anno vi siano stati 71 suicidi in cella”, uno scempio che va stroncato secondo il presidente del Consiglio con un “nuovo piano carceri”. Niente di nuovo sul fronte della destra con la solita idea giustizialista più reazionaria che conservatrice (in quel caso avremmo parlato almeno di una vecchia cultura general-preventiva). Ma la sintesi del pensiero meloniano non cambia: alla vergogna delle condizioni disumane dei reclusi si risponde con più spazi per rinchiuderli, non con le misure alternative.
Non così però, almeno sulla carta, la pensa un personaggio giuridicamente poliedrico come il nuovo Guardasigilli Carlo Nordio che, addirittura in una nota ufficiale del Ministero della Giustizia, ha ribadito che “la pena non è solo carcere”, aggiungendo che “le carceri sono una mia priorità”. La posizione di Nordio è, pertanto, il simbolo della contraddizione che investe il governo Meloni su un tema così delicato come la giustizia. Perché se è vero che in un partito di destra come FdI la regola aurea sia “legge e ordine”, tuttavia prima l’elezione tra le sue fila e poi la nomina a ministro di un fervente garantista come Carlo Nordio fanno sì che la giustizia assuma dei contorni di grande ambiguità in questa legislatura, nella quale è difficile che possano convivere tutto e il contrario di tutto.
Infatti come si concilino l’idea di giustizia della Meloni e la proposta presentata da Fratelli d’Italia, che vorrebbe cambiare l’articolo 27 della Carta costituzionale (quello che riguarda i diritti dei detenuti e stabilisce principi fondamentali, basilari, di civiltà) con il “pensiero liberale” del neo Guardasigilli, garantista soprattutto nel campo della procedura penale, è un mistero la cui soluzione non sarà priva di conseguenze per il futuro del governo e soprattutto delle velleità meloniste di cambiare la Costituzione.
Ed infatti il progetto di riforma dell’articolo 27 proposto da Meloni è un colpo durissimo all’architettura dei diritti che rischia di distruggere il più importante principio del diritto penale liberale, secondo cui a chiunque, anche al peggiore dei criminali, devono poter essere lasciati una speranza e uno spiraglio non solo di redenzione ma anche di possibile libertà. Tutto ciò è talmente chiaro al neo ministro della Giustizia che sin dalle prime dichiarazioni si è affrettato subito a prendere le distanze dal suo partito ricevendo “vivo apprezzamento” da parte dei penalisti italiani che addirittura vedono in Nordio il protagonista di “un’autentica svolta liberale” (parole loro). Velocizzare il corso della giustizia, depenalizzare, ridurre il numero dei reati, portare a compimento la riforma Cartabia, dare piena attuazione al codice di procedura penale “Pisapia-Vassalli” e addirittura, in prospettiva, rrevisionare il codice penale firmato da Mussolini se non è una dichiarazione di guerra del garantista Nordio al partito della Meloni e ai manettari leghisti poco ci manca.
In fondo già nel 2004 Carlo Nordio presiedette una commissione parlamentare nel Governo Berlusconi II per la riforma del codice penale che proponeva un nuovo modello nel quale il carcere era immaginato come l’extrema ratio, in modo da garantire il principio costituzionale del fine rieducativo della pena. Si puntava infatti sull’abbattimento della custodia cautelare, sull’eliminazione delle pene pecuniarie, sulla conversione della pena detentiva nei casi meno gravi in pene interdittive, ablative o prescrittive, e su un sistema di sanzioni meno afflittive purché effettive. La proposta fu bocciata proprio dalla Lega dell’allora ministro della giustizia Roberto Castelli e dalle barricate della destra sull’ergastolo.
A distanza di quasi venti anni lo scenario del governo Meloni sembra lo stesso, con l’aggravante dell’attacco all’articolo 27 della Costituzione che puà avere conseguenze devastanti fino al punto di rendere non più incompatibile con il nostro sistema dei diritti quella “morte per pena”, come la definiscono i radicali, che differisce davvero di pochissimo dalla pena di morte. Meloni contro Nordio, dunque, sarà uno scontro inevitabile e potenzialmente esplosivo per le sorti del governo.
E d’altronde è lo stesso ministro che in un’intervista in queste ore ci spiega perchè, parole sue, “sulla decarcerizzazione, il problema deve essere affrontato più a monte: nel senso che in una visione liberale e moderna, il carcere inteso come manette, come catenaccio, come sbarre di acciaio, deve essere considerata una sorta di forma obsoleta di sanzione non solo e non tanto perché è contrario a quella tendenza rieducativo della pena, che è scritta nella Costituzione, ma perché ha dimostrato, come ha scritto varie volte Marco Pannella, di essere quasi un elemento criminogeno”.
Parole da sottoscrivere da parte di tutti i liberali di sinistra e anche di destra. Quella buona, però.