Perché una buona destra?
La prima risposta viene spontanea, ed è molto semplice: perché non è possibile rassegnarsi. Perché non si può passivamente subire la trasformazione della destra italiana, della sua storia e della sua identità, in una “cosa” truce, maleducata, aggressiva e violenta. Un essere immondo che mostra i muscoli e il lato oscuro, che predica la divisione invece che l’unità. Una destra ridotta a terra di nessuno dove imperano i peggiori, refrattari alle élite, impegnati solo a ridurre le intelligenze e le individualità ad istinto bestiale e incivile.
Nella destra italiana convivono due anime. Angeli e demoni. Da un lato c’è la
destra nobile, coraggiosa, pacata, valorosa, pulita. Di buoni principi morali,
onesta, trasparente. Una destra capace di tenere le sue paure per se stessa ma
dividere il suo coraggio con gli altri. Una destra alta, intelligente e gioiosa che non si sente
rappresentata però dal suo alter ego, capace al contrario di far leva sugli
istinti primordiali dell’animo umano. La paura in primis.
Il senso di
estraneità che ispira questa “destra del cattiverio” è ciò che spinge alla
ricerca di una buona destra. Anzi, alla ricerca di una buona politica a destra,
che superi la facile scorciatoia dell’odio reciproco,
utile per raccattare consenso a buon mercato ma privo di qualsiasi contenuto
etico. La ricerca di una buona destra è sostanzialmente l’esigenza di chi non accetta più di piegarsi al ricatto identitario che
bolla come “tradimento” ogni barlume di “bontà” all’interno di una società
incattivita e intollerante, che usa la semplificazione come strumento per
infondere paura, per uniformare il pensiero, per urlare all’emergenza quando
emergenza non c’è. Questo modo di urlare, questo linguaggio violento è il
perfetto compimento della neolingua orwelliana. Pochi vocaboli, pochi termini,
pochi concetti, una misura espressiva finalizzata a inculcare nelle menti di
chi ascolta/subisce una visione ristretta, chiusa, del mondo. Una visione
menzognera. Più o meno consapevolmente, ogni valore positivo e ogni verità
vengono sistematicamente demoliti e sostituiti con idee del mondo ristrette e
totalitarie. Ed è questo il vero intento della destra becera: educare, con un
linguaggio volutamente scarno e barbaro, alla semplificazione della realtà.
La sfida della buona destra è tutta qui: tentare di
proporsi come forza politica capace di comprendere e governare la complessità
della società moderna, combattendo la deriva estrema e coltivando il dissenso
come fondamento democratico di uno stato laico, liberale e di diritto. Uno
stato dove l’individualità è un valore e dove non vige la legge semplicistica
del controllo sociale attraverso tecniche di indottrinamento totalitario di
orwelliana memoria. La buona destra guarda al futuro senza timore, non inneggia
a una guerra tra poveri ma si assume la responsabilità di scrivere, da destra,
il romanzo collettivo di una comunità in cammino.
Per tratteggiare gli elementi distintivi della buona
destra come alternativa alla “bestia”, tuttavia, è necessario fare un passo
indietro per capire come si è arrivati a questo punto: la destra italiana è
stata per troppo tempo una terra senza difese, senza anticorpi necessari per
resistere all’onda d’urto del populismo e dell’estremismo. La destra italiana ha
abdicato al suo ruolo di forza progressista, ha scelto più o meno
consapevolmente una condizione di assoluta impoliticità. È stato il crogiolo
perfetto per forgiare quel brodo culturale che la condurrà, proprio nel momento
in cui avrebbe potuto fare finalmente buona politica, ad applaudire e cavalcare
acriticamente ogni forma di generico populismo e bieco estremismo che la
riporteranno tragicamente indietro di decenni.
Non tutto, però, è perduto. A destra esiste ancora, probabilmente nascosta nell’anonimato dell’astensionismo elettorale dovuto al disgaio per la deriva estrema del “cattiverio”, una politica altra. Alta e altra. Moderna, laica, civile, e realista. Una politica patriottica senza essere nazionalista, aperta al nuovo. Una politica anti-ideologica che non vuole sempre avere ragione, che non urla, che non parla alla pancia ma al cuore e al cervello. Solo una politica (di destra) moderna può pensare di raggiungere e farsi scegliere dalla parte del paese che vuole crescere, che non vive di astio e acrimonia, che non mette la divisa e non va alla guerra ma, più prosaicamente, sceglie di volta in volta da chi farsi rappresentare. E allora ogni discussione sull’essere destra o non esserlo deve preventivamente sancire l’assoluto ostracismo per quello sgorbio politico che deve stare sempre da un’altra parte. Anche se si chiama allo stesso modo.
Ed ecco che torniamo da dove siamo partiti: perché una
buona destra? Perché voltarsi dall’altra parte non è più accettabile. Perché
l’abitudine, la rassegnazione non sono degne di un paese civile e moderno.
Perché è ora di dire basta all’ignavia infernale e diabolicamente plaudente di
chi lascia scorrere un fiume immondo di mala politica. Perché di fronte a
questa deriva avvilente, occorre un altro cammino rispetto a quello di una
destra non-politica che vive solo grazie all’infelicità, alla paura e
all’insicurezza, vera o indotta, della società. Una destra diversa, di cuore e di testa,
animata dalla forza pragmatica della ragione e guidata dalla stella polare dei
suoi miti più autentici. Una destra che ha orrore di chi alza muri, scava
fossati, inventa nemici, attacca i più deboli, ricomincia a parlare di razza. Una
destra che sia la buona destra.