Perché l’Italia ha bisogno del liberalismo: verso un nuovo partito liberaldemocratico

Il liberalismo serve, perché l’Italia non è un Paese liberale. Il Paese ha bisogno delle idee liberali proprio perché le idee liberali ci appartengono poco. Dobbiamo chiudere con quella parte della nostra storia repubblicana egemonizzata dai due filoni culturali che di liberale avevano poco, per non dire nulla: quello cattolico e quello socialista, e poi comunista e infine socialdemocratico, il cui compromesso è stato ed è l’artefice del populismo sovranista.

Il pensiero liberale è sempre stato incarnato da personalità autorevolissime, ma è sempre stato minoritario. Ci sono radici storiche che potrebbero essere utilizzate per spiegare l’anomalia. Ma il fatto rilevante è che l’anomalia c’è e che, in un mondo dove gli Stati nazionali sono sempre più spogliati di competenze sovrane, c’è bisogno di un approccio liberale ai problemi.

Il liberalismo non è un’ideologia, è prima di tutto un metodo, un modo di affrontare i problemi, e con l’approdo europeista rappresentano i due pilastri su cui qualsiasi governo oggi in Italia dovrebbe muoversi. Così non è stato nel passato, lontano o recente che sia, e non lo è oggi con la tenaglia populista che soffoca il Paese. Il populismo declinato da destra e da sinistra è la pretesa di avere la verità in tasca. Il liberalismo è esattamente il contrario.

Si parla di bipolarismo, ma il vero bipolarismo è quello tra demagogia e realismo. Esiste la demagogia di destra ed esiste la demagogia di sinistra, altrettanto dannosa. La demagogia è un “lusso” che non possiamo più permetterci. La demagogia rende la politica impotente. Ed è quello che è successo nella storia di quella che erroneamente definiamo seconda repubblica, tanto che alla fine, nei momenti cruciali, c’è stato bisogno di un premier/governo tecnico. Ed è quello che rischia di succedere di nuovo se la politica non abbandona propaganda e demagogia per aderire il più possibile alla realtà. I voti possono essere interpretati come un fine o come un mezzo. Un liberale li interpreta come un mezzo per realizzare cose. Un demagogo li interpreta come un fine in sé. E quindi, alla fine, li rende inutili. Non ci fai nulla perché non li trasformi in azione politica concreta.

Il demagogo, al di là della divisa (destra o sinistra) che indossa, non solo li rende inutili ma ha sempre più bisogno di tifoserie sempre più ristrette e invasate, e l’elettore, nel percepire l’inutilità, diserta la politica. Sarebbe bello se la cultura liberale diventasse maggioritaria. Vivremmo in un Paese migliore, dove si dicono meno bugie e si ingannano meno gli elettori, e anche gli stessi politici, visto che è tipico di essi convincersi intimamente della giustezza di quello che gli conviene, spesso prendendo cantonate colossali. Quindi l’obiettivo di rendere la cultura liberale maggioritaria è un obiettivo da perseguire. Non è realistico? Può essere, ma sono certo che non è più procrastinabile il provarci. Se questo obiettivo fosse raggiunto, vivremmo tutti in un Paese migliore per la buona ragione che il termine liberale è denso di contenuti per il presente e per il futuro. Contiene infatti: la partecipazione politica attraverso la rappresentanza, tutti i diritti di cittadinanza (tra questi la salute delle persone e dell’ambiente), la laicità, la solidarietà, il progresso e lo sviluppo tecnologico a favore della collettività, la giustizia sociale, il pluralismo culturale e sociale, la libertà d’impresa e di iniziativa, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l’uguaglianza delle opportunità, l’internazionalismo e la mondialità. Ciò che è illiberale lo conosciamo bene, porta con sé opzioni e progetti che sistematicamente contraddicono tutti, uno per uno, questi contenuti, in primis lo statalismo con il suo fardello di asfissiante burocrazia, dove ogni volta che lo Stato impone limiti e regolamentazioni, chi ne paga il prezzo sono sempre le categorie più vulnerabili.

Può bastare? Dovrebbe, soprattutto oggi quando il liberalismo è ferocemente attaccato da oligarchie, fondamentalismi di ogni ordine e grado, fanatismi ideologici anticapitalistici, siano essi sotto forma di Stato o di cultura politica, di cui è pregno il populismo tout court, ma c’è chi baratta tutto per un piatto di lenticchie, rinuncia a essere se stesso, almeno rispetto a quello che si è sempre dichiarato di essere. Il liberalismo non ha bisogno di grilli parlanti e tanto meno dei grilli parlanti dei grilli parlanti della sinistra. Che penosa deriva. Il liberalismo ha bisogno di “combattenti” che con la forza delle idee si mettano in gioco, rischiando certamente di essere sconfitti, ma dalle sconfitte ci si rialza sempre se si vuole. Avanti verso il nuovo partito liberaldemocratico.