“Che cosa sarebbe successo se invece di rispondere con le armi all’invasione russa gli ucraini non avessero mosso un dito e avessero lasciato che l’esercito di Putin occupasse tranquillamente Kiev determinando ovviamente la caduta, e magari anche la cattura, di Zelensky?”. È la domanda che sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia pone a tutti quelli che continuano a esprimere dubbi sull’opportunità e sul senso della resistenza del popolo di quel Paese agli invasori. Ed è l’unica domanda che bisogna fare a tutti i terzisti d’Italia, a tutti quelli che preferiscono farsi i fatti propri, a quelli che non volevano le sanzioni prima e non vogliono oggi mandare armi. Insomma a tutti i figli di Putin italiani.
Sulla risposta alla domanda posta all’inizio è difficile avere dubbi. “Non resistere – spiega della Loggia – avrebbe voluto dire semplicemente la vittoria totale di Putin nel giro di 48 ore e quindi la sorte dell’Ucraina alla sua mercé. E a quel punto, molto probabilmente, non sarebbero seguite neppure le sanzioni da parte dell’Occidente (o al più finte sanzioni come quelle dopo la Crimea). Invece la resistenza in armi del popolo ucraino c’è stata, vasta e coraggiosa. Ed essa non solo ha già avuto l’effetto di determinare la sconfitta del piano russo (è davvero una cosa così trascurabile?) ma sta pure gettando le premesse per una durissima sconfitta politica dello stesso Putin, con il conseguente forte indebolimento della sua leadership e in prospettiva, chissà, la sua stessa caduta”.
E come rispondere a tutti quelli che obiettano che la resistenza ucraina non può vincere militarmente? Semplicemente che è vero l’esatto contrario: politicamente la resistenza ucraina ha già vinto. “Già oggi infatti – spiega ancora l’editoria lista del Corriere- essa ha messo Putin con le spalle al muro. Nella condizione cioè di non avere alternative: o tratta con colui che tre settimane fa voleva distruggere (ma se vuole concludere le trattative deve per forza rinunciare al suo progetto iniziale e cedere su questo o quel punto), oppure può andare avanti con la guerra. E vincere sì, alla fine, ma proprio per la presenza della resistenza sarà costretto a fare dell’Ucraina un mare di rovine abitate da un popolo che lo odia. Ma in un Paese da lui ridotto a un mare di rovine e di morti riuscirà mai a trovare un Quisling che accetti e sia in grado di governare a suo nome? E quanti soldati gli ci vorranno, dopo la cosiddetta vittoria, per presidiare un territorio grande circa due volte la Francia? Quanti soldati dovrà mettere in conto di perdere ogni notte, probabili vittime di un agguato dietro ogni portone, ad ogni angolo di strada? E allora chiediamoci: tutto ciò — questa vera e propria catastrofe politica — di che cosa sarà il frutto se non del fatto che c’è stata una resistenza armata? Del fatto che gli ucraini hanno imbracciato le armi, hanno chiesto le armi per combattere, e l’Occidente gliele ha date? Altro che le condizioni di successo «francamente improbabili» di cui in tanti si sono riempiti la bocca in questi giorni”.
L’esatto contrario di quello che ci hanno propinato in queste settimane i fautori di una pace a tutti i costi, di quello che hanno voluto spiegare l’inutilità e perfino l’immoralità della resistenza, l’assoluta inopportunità di rifornirla di armi, sull’«assurdità» della guerra, di ogni guerra. Anche di quella che si fa per difendere “quisquilie” come la propria libertà, i propri valori, la propria casa.