di Arianne Ghersi
Ciò che è avvenuto in questi giorni in Francia ed in Austria indica azioni intrinsecamente accomunabili.
Per troppo tempo l’Europa ha ignorato la potente rete di jihadisti presente nel mondo, anche se numerose letture tradotte nella nostra lingua avrebbero potuto facilitarci. Mi sovviene un testo che ho consultato di recente: “La scelta di Said” in cui si narra la vicenda di due giovani ragazzi marocchini che hanno vissuto alla periferia-bidonville di Casablanca. Si deduce da questo libro, seppur di narrativa, il passaggio rapido della propaganda jihadista dai vecchi schemi in cui i contatti venivano presi direttamente con i possibili combattenti all’interno delle moschee, ad oggi, invece, in cui tutta la propaganda si diffonde in realtà grazie al web.
Si crede, erroneamente, che ciò che oggi vediamo come terrorismo non abbia legami con il passato e che si possa catalogare come semplice odio verso “l’occidente”. Questa visione è tendenzialmente miope, in quanto il popolo europeo dovrebbe assumere maggiore consapevolezza storica dato che in nord Africa e Medioriente gli equilibri politici sono cambiati a seguito del crollo dell’impero ottomano, agli accordi di Sykes-Picot e al successivo abbandono delle colonie. Questi eventi sono da collocare in anni distanti, ma hanno impattato in modo determinante sulle popolazioni. Sappiamo che sono nate realtà statali che i popoli stessi forse neanche sentivano e spesso le autorità delegate non avevano quell’esperienza storica che ogni singolo stato europeo ha saputo crearsi in seguito ad anni di scontri e lotte a volte per piccoli lembi di terra.
Quanto ho appena descritto ha portato ad un malessere e ad una facile colpevolizzazione dell’invasore. Lungi da me giustificare la violenza, il mio intento è cercare di comprendere i motivi che spingono le azioni terroristiche.
Ad oggi, possiamo vedere come sia ormai avvenuta la dissoluzione dell’Iraq e come la Siria sia sospesa ad un filo, sempre “tirato” dalla potenza di turno per garantirsi un appoggio da parte del presidente Assad in vista di una sua completa ripresa del potere.
Queste “ingiustizie o “incoerenze”, lascio al lettore decidere di cosa si tratti, hanno determinato la situazione attuale. Ciò che stupisce è lo stupore manifestato dall’Europa.
L’attivista tunisina Amina Sboui, ricordata più comunemente per aver protestato in piazza esibendosi a petto nudo, nel suo libro “Prigioniere” descrive come certe zone del paese siano assoggettate ad una visione dell’islam radicale. Per esperienza diretta posso affermare che l’atmosfera respirata nella capitale Tunisi sia decisamente diversa da quella percepita a Qayrawan (Kairouan), città storicamente importante perché fu la capitale del governatorato dell’Ifriqiya nel periodo califfale islamico, dove anche un osservatore poco attento percepirebbe una maggior diffusione di usanze a noi meno affini. Questo dimostra come non ci si possa stupire che l’attentatore in Francia fosse tunisino. Dovremmo forse comprendere che la Tunisia non è tutta come Hammamet dove, a torto o a ragione, gli italiani vengono ricordati con affetto e dove il nome di Craxi è vivo come non mai.
Allo stesso modo, non ci dovrebbe “stupire” ciò che è avvenuto in Austria. L’attentatore, sicuramente supportato da una rete di connivenze e fiancheggiatori, risulta essere di origini macedoni. I dati che ho potuto consultare circa la reale adesione di foreign fighters provenienti dall’est Europa sono in contraddizione tra loro, ma ciò su cui mi voglio soffermare non è un fattore prettamente numerico infatti ciò che è emerso è che quest’ultimo terrorista fosse già stato attenzionato per le sue posizioni radicali. Ho potuto percepire da molti media italiani lo sgomento verso una tale presa di posizione da parte di un uomo proveniente da tale zona geografica. Voglio ricordare in tal senso come le ottime ricerche condotte da Marta Serafini (riportate nel suo recente libro “L’ombra del nemico”), descrivano un personaggio determinante, Omar Al Shishani che sembra svolgesse un ruolo chiave per l’Isis come incaricato di reclutare jihadisti ceceni o più in generale del Caucaso: il suo vero nome sembra fosse Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili, nato in Georgia nel 1986, già conosciuto nel suo paese di provenienza per un’accusa legata al possesso illegale di armi da fuoco.
Quanto descritto dovrebbe servire a porre l’attenzione su temi fondamentali che siano più utili rispetto alla stigmatizzazione dell’altro. Sono convinta che la lezione che si può apprendere dal caso francese sia l’importanza di un maggiore controllo del territorio, soprattutto in Italia, che aiuterebbe a contrastare il passaggio indisturbato di certi criminali verso altri paesi, garantendo due cose decisive: il rispetto del territorio italiano e una reale tutela per chi scappa davvero da guerre e violenze. Il caso austriaco dovrebbe sottolineare invece che reati “semplici” come la detenzione illegale di armi o l’inneggiare verso posizioni estremistiche non siano solo intemperanze legate alla giovane età, ma a volte possono essere il preludio di grandi ed evitabili tragedie.