È inutile, è del tutto inutile. Le pantomimiche giravolte di Salvini, con i viaggi in Polonia (e conseguenti figure barbine) e i finti richiami ai suoi affinché partecipassero alla seduta parlamentare di Montecitorio per ascoltare le parole del presidente ucraino Volodymir Zelensky, in nome di un’unità nazionale facile da dirsi ma difficile a farsi dalle parti della Lega.
È del tutto inutile perchè il dna sovranista filo Putin della Lega non si cancella con un, lieve, colpo di spugna. E non solo per l’assenza di una parte degli esponenti leghisti all’incontro con Zelensky o per i distinguo con il discorso – quello sì in ossequio all’unità nazionale! – di Mario Draghi.
Che dire poi, dei pentastellati di Giuseppe Conte, campioni di affermazioni raccapriccianti anti Zelensky e pro Putin, tipo quelle di Bianca Laura Granato, nota complottista e agguerrita no vax – tra gli assenti ieri alla Camera – che afferma come il presidente ucraino “spinga il suo popolo al massacro, a sollecitare un intervento militare da terzo conflitto mondiale, non finalizzato a migliorare la capacità di autodeterminazione del suo popolo, ma a far sì che esso finisca sotto il giogo di un’organizzazione militare multinazionale che si imponga anche attraverso una società del controllo. Cui prodest?. Putin sta conducendo una battaglia per tutti noi, non ha accettato l’agenda globalista che è stata imposta pure a noi, che in Italia abbiamo una dittatura conclamata”.
Questa, a tratti folle, presa di distanza continua dei leghisti e del Movimento 5 Stelle dalla linea della maggioranza segna il solco, se possibile ancora più profondo di quanto non lo fosse già prima, scavato dalla guerra in Ucraina all’interno della coalizione che sostiene Mario Draghi. Con la conseguenza di far fare all’Italia, sul piano internazionale, l’ennesima figura poco edificante, relegandola nel ruolo di parente povero degli altri paesi impegnati nella battaglia, di civiltà, contro la follia espansionistica di Putin.
“Io stento ad applaudire quando si parla di armi, non sono mai la soluzione, l’intervento di Draghi in aula è stato sopra le righe”. Basterebbe questa dichiarazione di Matteo Salvini per spiegare la posizione della Lega sul sostegno agli ucraini che rischia di spaccare la maggioranza. O il caso Petrocelli, presidente pentastellato della Commissione Esteri, che ha chiesto al Movimento di “ritirare ministri e sottosegretari dal Governo Draghi perché la decisione di inviare armi all’Ucraina ha reso l’Italia un paese co-belligerante”. Ma il rinnovato asse gialloverde sta andando ben oltre le parole: l’avvocato del popolo, furioso con i suoi per aver votato a favore, e il Capitano, infatti, fanno fronte comune contro l’aumento per le spese per gli armamenti, fino al 2% del pil. Poco importa se tutta la maggioranza poco meno di due settimane fa aveva appoggiato l’Esecutivo su questa linea. “Oggi non siamo sotto i bombardamenti, quindi mi preoccupo degli italiani che stanno a casa e chiedo che si usi il debito comune per risolvere il caro energia – ha detto Conte a Porta a Porta -. Draghi non abbia cambiato posizione, è stato molto chiaro: la prospettiva di incrementare le spese militari sul piano nazionale non è nell’ordine delle cose”. La posizione è chiara.
La scusa di entrambi è di dare priorità ad altre necessità del paese, come il caro bollette e il sostegno alle famiglie – come se non ci trovassimo alle prese con una guerra che fa migliaia di vittime, nel cuore della più grave crisi internazionale del dopoguerra – ma la verità è che Conte (Salvini al riguardo spara sciocchezze ma resta più cauto, preferendo chiamare in causa a sproposito Papa Francesco) sta lavorando ad una mozione in Senato, che potrebbe essere condivisa dalla Lega, contro l’aumento dei fondi per gli armamenti. Una mozione che rischia di spaccare la maggioranza Draghi e che è di fatto una dichiarazione di guerra all’alleanza atlantica e un favore a Putin. Come ai vecchi, e non certo rimpianti, tempi del governo gialloverde.