Non è solo la riforma Cartabia a turbare i sonni della magistratura italiana e di alcune aree polito-culturali del paese, ma pure i referendum promossi da Lega e Radicali inquietano chi vorrebbe che nel mondo giustizia nulla cambiasse.
La preservazione dello status quo infatti è alla base della campagna antireferendaria che viene portata avanti non solo dalle toghe ma anche da parte di certa stampa e di certa politica evidentemente poco incline a una concezione garantista dello Stato di Diritto.
In ogni caso, con buona pace di tutti loro, il 12 Giugno prossimo saremo chiamati a esprimerci sui 5 quesiti ammessi dalla Consulta nello scorso Febbraio e sarà importante arrivare al quorum. Impresa, invero, titanica visto che nei media non se ne parla minimamente e, di fatto, si impedisce ai cittadini la possibilità di farsi una propria idea su questioni che, visto il grado di tecnicismo, richiederebbero una approfondita informazione.
Uno dei punti che maggiormente sta a cuore alla magistratura è proprio quello relativo all’abrogazione del pericolo di reiterazione del reato quale presupposto per l’emissione del provvedimento di custodia cautelare in carcere e/o di irrogazione degli arresti domiciliari “ante iudicium”. In parole semplici, ad oggi, quando il Giudice ritiene che vi sia possibilità per l’indagato di commettere nuovamente il medesimo reato o reati di analoga specie, lo può mandare in carcere o disporne gli arresti domiciliari prima che un processo ne accerti la colpevolezza. L’esito positivo del referendum scongiurerebbe, invece, questa possibilità.
Negli ultimi 30 anni, da Mani Pulite in poi, l’abuso della custodia cautelare motivata proprio dal pericolo di reiterazione del reato ha stravolto la funzione eccezionale dell’istituto trasformandolo in una prassi piuttosto frequente e determinando abbondanti casi di ingiusta detenzione e conseguenti risarcimenti del danno, a carico dell’erario nazionale e del comparto Giustizia (per dare un’idea di quali siano le cifre, basti pensare che nell’ultimo trentennio sono stati spesi circa 786 milioni di euro di cui 46 milioni solo nel 2020 per danni da ingiusta detenzione).
I dati da questo punto di vista sono scoraggianti. Attualmente più di un terzo della popolazione carceraria è sottoposta alla misura della custodia cautelare. In sostanza si trova in carcere da (presunto) innocente, con buona pace della nostra Costituzione repubblicana. Che cosa accadrà quando una buona percentuale di questi – come dimostrato già negli anni precedenti – verrà riconosciuta innocente all’esito del processo? Che ne sarà di pezzi di vita passati ingiustamente dietro le sbarre o della reputazione macchiata per sempre?
Evidentemente, i rischi di violazione dei diritti fondamentali delle persone, per alcuni magistrati e per i comitati per il NO al referendum sono “danni collaterali” sostanzialmente accettabili, purché si proceda spediti nella crociata contro i c.d. “colletti bianchi”.
Venuto meno il nemico pubblico n. 1, cioè Silvio Berlusconi, per i giustizialisti – nella loro declinazione sia politica che giornalistica – si è posto il gravissimo problema di come sostituirlo per rinverdire la scure inquisitoria ultimamente un po’ appannata dal crollo dei Cinque Stelle e del loro novello Torquemada, Alfondo Bonafede. Quello che, tuttavia, non si può accettare è la propaganda fine a se stessa e palesemente mendace volta a terrorizzare l’opinione pubblica con inesistenti pericoli di allargamento delle aree di impunità qualora il referendum avesse esito positivo.
È bene chiarirlo una volta per tutte! Anche da un punto di vista tecnico, le preoccupazioni espresse circa l’abrogazione del requisito della reiterazione non porterà ad alcun “libero crimine”.
Il referendum, pur volendo limitare l’abuso della carcerazione preventiva, elimina l’automatismo dell’applicazione della misura cautelare desunto dal pericolo di reiterazione, ma non tocca minimamente l’impianto generale dell’art. 274 lettera c) c.p. Infatti, anche in caso di vittoria del SI, rimarrebbe inalterato il potere del Giudice di desumere la necessità della custodia in carcere (o degli arresti domiciliari) quando ciò sia suggerito dalle specifiche modalità e circostanze del reato o dalla personalità dell’indagato compresa la sua pericolosità, specialmente se riferita ai delitti “con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”.
Insomma, nessun allarme rosso: il Giudice rimane arbitro di ogni valutazione nel caso concreto avendo a disposizione tutti gli strumenti di natura preventiva necessari.
Perciò gli inutili isterismi che si vanno moltiplicando man mano che ci si avvicina alla data del referendum, non solo sono infondati ma si rivelano esattamente per quello che sono: meri pretesti per mantenere lo status quo e giustificare l’abuso della custodia cautelare.