Il bis di Mattarella dovrebbe farci riflettere tutti. Non sarebbe azzardato vedere in esso nient’altro che l’ennesimo fallimento dei partiti, della politica tout court; lo sfaldarsi della rappresentanza. Intendiamoci, il nostro presidente della Repubblica è un galantuomo, nell’antico senso della parola, ma certamente il suo “sacrificio” è una vera e propria cartina tornasole di quello che è il vento che ha consumato giorno dopo giorno, legislatura dopo legislatura, la nostra Repubblica. Meglio di me l’ha spiegato Andrea Cangini, direttore de «La Nazione» e de «Il Resto del Carlino», in un articolo uscito su «Il Corriere della Sera», dal titolo «L’occasione della politica».
“Il grado di sfiducia che i partiti hanno in sé stessi e nel sistema è testimoniato dal sollievo e dalla velocità con cui hanno, per la seconda volta, deposto il loro potere costituzionale di elezione del presidente della Repubblica nelle mani del presidente uscente. Il potere esecutivo lo abbiamo delegato un anno fa, il legislativo lo esercitiamo per modo di dire. L’impotenza è dunque conclamata, la resa incondizionata. Impossibile, ormai, negare l’esistenza di una gravissima crisi di sistema che solo nell’ultimo decennio ha visto maggioranze variabili votare in parlamento la fiducia a ben sette governi anziché due, guidati da sei presidenti del Consiglio tutti diversi rispetto ai nomi dei candidati “premier” convenzionalmente votati dai cittadini alle elezioni politiche del febbraio 2013 e del marzo 2018”, ha esordito Cangini. “La qualità dell’amministrazione e la rappresentanza democratica sono le principali vittime di questa crisi infinita, l’organizzazione della politica e la struttura dello Stato ne sono le principali cause. È giunto, perciò, il momento di mettere mano una volta per tutte alle cause di questa intollerabile e dannosa debolezza. Una debolezza ormai endemica, aggravata dagli scompensi provocati dal taglio della rappresentanza parlamentare. Delegare il potere a personalità illuminate e riconosciute aiuta, ma non risolve: serve un Patto per la Grande Riforma della Politica. Di questo dovrebbe occuparsi il Parlamento nell’anno che ci separa dalle prossime elezioni. Sarebbe un modo per dare un senso al presente e puntellare il futuro. Sarebbe anche, in fondo, un’occasione di riscatto della Politica e delle Camere”, ha insistito il giornalista su «Il Corriere della Sera».
E Cangini ha ragione quando scrive che c’è sul serio da sperare che la coppia Mattarella-Draghi riesca a trovare il modo di “incoraggiare gruppi parlamentari quantomai disorientati a concentrare la propria attenzione sull’urgenza di avviate questo processo riformatore per passare finalmente dalla messa in scena del governo ad un’effettiva governabilità”. Il problema vero però sapete qual è? Che mancano gli uomini e pure i mezzi. Anche su questo punto mi trovo d’accordo con il direttore de «Il Resto del Carlino». Basterebbe solo citare il caso della leader di FdI Giorgia Meloni e della Lega Matteo Salvini, che hanno ripetuto per mesi di avere la maggioranza dei Grandi elettori, che avevano la partita del Colle in mano. Si sono trincerati a lungo dietro il nome di Berlusconi, mastice di un “centrodestra” che di fatto non esiste, per poi ripiegare sull’eventualità di una donna al Quirinale. Tentativo maldestro di accaparrarsi un primato, di piantare una bandierina. “Abbiamo una classe politica di modesto livello e un assetto istituzionale che ci condanna al conflitto interno e all’inconcludenza. Per alleggerire il primo problema sarebbe opportuno rinforzare i partiti come luogo della formazione e della selezione del ceto politico. E dunque: introdurre una forma controllata di finanziamento pubblico, dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione applicando il ‘metodo democratico’ alla vita interna delle organizzazioni politiche rappresentative, mettere mano ai regolamenti parlamentari, eliminare dal codice penale quelle fattispecie di reato che ingessano il potere politico mettendolo alla mercé dell’ordine giudiziario (abuso d’ufficio, traffico di influenze, concorso esterno) e approvare una legge elettorale che incoraggi i partiti a darsi un’identità definita”, ha rimarcato Cangini.
Ma ce ne sarebbero di questione da affrontare, come la stessa “elezione diretta del capo dello Stato o del premier, i connessi poteri di nomina e revoca dei ministri e di scioglimento delle Camere, la sfiducia costruttiva, il rapporto tra Stato e regioni, il bicameralismo paritario…”, Cangini li elenca tutti. Ed è pure consapevole il giornalista che gli strumenti ci sarebbero pure; quel che non c’è? Semplicemente la volontà, consumata nell’istinto di auto-conservazione. Ci si continua a “nascondere” dietro alla pandemia: perché ammettere i propri limiti per alcuni sarebbe decisamente troppo.