Dalle parole ai fatti: il collegio guidato da Ursula von der Leyen ha proposto al Consiglio di tagliare una significativa quota di fondi europei destinati all’Ungheria per via delle continue violazioni dello Stato di diritto: si tratta di 7,5 miliardi di euro, vale a dire un terzo dell’intera dotazione settennale dei fondi di coesione destinati a Budapest.
E’ la prima volta che viene utilizzato il meccanismo di condizionalità del bilancio Ue e, a questo, si aggiunge il fatto che resta congelata l’approvazione del Recovery Plan. Non si tratta di un provvedimento irreversibile, ma dell’ultima offerta al governo di Viktor Orban. Che, per il momento, mantiene un atteggiamento collaborativo e ha proposto una serie di misure correttive, tra cui l’istituzione di un’autorità indipendente anti-corruzione e la riforma del sistema degli appalti. Teoricamente ci sarebbe solo un mese di tempo, ma il commissario Ue al Bilancio, Johannes Hahn, ha già lasciato intendere una certa flessibilità per estendere il periodo di altri due mesi. Dal canto suo, l’Ungheria si è impegnata a dare tutte le risposte alla Commissione entro il 19 novembre: nel caso in cui non fossero soddisfacenti – spiega oggi La Stampa – il Consiglio dovrà esprimersi entro metà dicembre, votando a maggioranza qualificata. Il meccanismo che vincola l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello Stato di diritto era stato approvato politicamente nel luglio del 2020, in occasione dell’accordo sul Next Generation EU, e giuridicamente nell’autunno dello stesso anno (con il voto contrario di Polonia e Ungheria). Entrato in vigore nel gennaio del 2021, la Commissione lo ha tenuto congelato per più di un anno, in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Ue. Nell’aprile del 2022 ha formalmente avviato la procedura ai danni dell’Ungheria. Da un punto di vista politico hanno giocato un ruolo le posizioni di Orban nei confronti di Putin: si era opposto all’invio di armi e Kiev e ha rallentato l’adozione delle sanzioni.
Come era prevedibile, sulla faccenda è intervenuta la politica italiana: mentre Silvio Berlusconi prende le distanze e ribadisce “Noi stiamo con i Ppe”, gli amici italiani di Orban frenano, anzi: continuano a difenderlo. “Se si vota un documento contro l’Ungheria lo si deve fare circostanziando le accuse. Il documento è politico. Vorrei un’Europa in cui non ci fossero scelte sulla base della discrezionalità”. Così Giorgia Meloni, dopo che FdI ha espresso contrarietà al voto dell’Europarlamento contro l’Ungheria, definita dai parlamentari “un regime ibrido di autocrazia elettorale” e anche “una minaccia sistemica ai valori dell’Ue”.