Il discorso del presidente russo Putin al concerto-raduno nello stadio Luzhniki di Mosca, ancora prima che un concentrato di propaganda, è un insulto alle persone che stanno morendo in Ucraina, compresi i caduti russi al fronte. Bandiere svolazzanti, luci da discoteca, karaoke e coretti, fuochi d’artificio, la folla osannante con la Z sui baveri delle giacche che festeggia la “liberazione” della Crimea. La guerra e la politica ridotte a uno spettacolo indecoroso, con il mattatore criminale che racconta bugie.
Altro che dialogo. Giaccone blu, golf a collo alto crema, vestito come se dovesse partire per la settimana bianca, Vlad il matto dice ai suoi fan che la Russia in Ucraina andrà avanti, mettendosi sotto i piedi anche Dio e il patriarcato ortodosso nella solita menzognera narrazione sulla “guerra di liberazione” fatta per evitare “il genocidio” nel Donbas. “Abbiamo fatto risorgere questi territori” dice Putin della Crimea e “sappiamo esattamente cosa fare adesso, come, a spese di chi e attueremo tutti i nostri piani”.
“Sono gli abitanti della Crimea che hanno fatto la scelta giusta, hanno messo un ostacolo al nazionalismo e al nazismo, che continua ad esserci nel Donbass, con operazioni punitive di quella popolazione. Sono stati vittime di attacchi aerei ed è questo che noi chiamiamo genocidio. Evitarlo è l’obiettivo della nostra operazione militare” in Ucraina. Tutto questo armamentario propagandistico e totalitario però non cancella “alcuni elementi chiarissimi”, come scrive il direttore Fontana.
“I dati di fatto: il primo che il genocidio lo sta realizzando Putin colpendo la popolazione civile dell’Ucraina con il chiaro intento di terrorizzare il popolo e costringerlo alla resa.” “Il secondo punto è il martirio della città di Mariupol: Putin vuole impedire all’Ucraina qualsiasi sbocco al mare. Il terzo è l’attacco a Leopoli, in una zona vicino all’aeroporto, ovvero le linee di rifornimento militare dell’Occidente che rallentano l’avanzata di Mosca”. Putin vuole continuare la sua guerra frutto di una personalissima repressione personale, e lo spettacolo indegno di oggi, che richiama alla mente altri luridi raduni novecenteschi, ci fa comprendere che la possibilità di un conflitto molto più ampio resta all’ordine del giorno.