È uno dei pochi che ancora in Russia ha una certa libertà, tollerato in virtù del suo passato di oppositore del regime sovietico. Gleb Pavlovskij, ex dissidente dell’Urss, pioniere del web russo e consigliere personale di Vladimir Putin dal 1996 al 2011 – “quando finalmente compresi alcune cose” – è tra i pochi a cui è permesso criticare il Cremlino. “Le parole anti occidentali degli uomini di Putin sono pura retorica, e in quanto tale non hanno limiti. La retorica la si può esasperare a piacimento, e Medvedev ne è un buon esempio, con le sue invettive da piccolo commerciante al bazar. Ma è improbabile che in questo modo lui possa rafforzare le posizioni degli antioccidentalisti – dice oggi in un’intervista al Corriere della Sera -. Non c’è nessuna strategia dietro queste continue dichiarazioni ostili al mondo occidentalizzato. Piuttosto, si tratta del tentativo di riempire un vuoto ideale che esiste ormai da quasi dieci anni, eliminando un occidentalismo liberale del quale le nostre élite sono comunque impregnate. Il problema è che non esiste alternativa: una narrativa diversa al momento è assente, forse ce l’hanno solo alcuni gruppi di potere. Quindi si prova a trasformare questa deriva periferica in un racconto mainstream, dietro al quale si nasconde però il nulla”.
Sul nuovo ordine mondiale non ha dubbi. “Dicendo che il bipolarismo è finito, Putin afferma una verità incontestabile – spiega -. L’Occidente sorregge l’attuale sistema delle istituzioni mondiali, economiche e politiche. Ma sicuramente non può più rivendicare un monopolio, non può sostenere l’egemonia. Né lo possono fare gli Stati Uniti. Bisognerà trovare una soluzione nei prossimi anni, anche se nessuno sa ancora quale sarà. La spinta di questa utopia della Russia autarchica è la cosa peggiore che Putin sta facendo al suo popolo. Perché non è possibile, semplicemente. La Federazione russa è un progetto ultra-globalizzato, non potrà mai trasformarsi in una economia chiusa. Guardi quel che sta accadendo. Anche i settori creati per sostituirsi alle importazioni, si basano su alcuni elementi di importazione. In un regime di crisi, si dovranno cercare vie traverse per sostituire quella globalizzazione di cui la Russia è stata un fattore importante”.
Gleb Pavlovskij, tuttavia, avverte sull’inutilità di sperare che Putin possa essere deposto “dal di dentro”. “Quando parlate di trame o complotti, fate l’errore del degustatore, trasformate i vostri auspici in certezze, come quando esaltate la fuga di reduci del passato senza più potere, come accaduto con Anatoly Chubais e qualche altra figura ormai senza alcuna importanza – avverte -. Non è così. Stiamo assistendo a una rappresentazione. Matviyenko ha mosso una mite obiezione a Medvedev confermando la propria collocazione nel potere. Perché al Cremlino lo sanno tutti che è impossibile riconvertire un Paese che da 300 anni si guarda all’Occidente. Sembra che comandi solo Putin, ma è un errore. Un tempo andavo molto fiero del fatto che eravamo riusciti a creare la sensazione che Putin governasse tutto nel Paese. Era un teatrino politico necessario, perché il paese era assai nostalgico di una vera leadership, e non era stato governato per quasi dieci anni visto che Boris Eltsin non era molto versato in quel senso. Perciò con il passar del tempo si è capito che la tesi ‘Putin decide tutto’ è molto comoda perché toglie l’ansia e oscura la visione di quello che succede davvero. Lui decide molte cose. Ma è chiaro che ci sono anche forze indipendenti ormai dal governo, grosse corporazioni e banche, centri di potere alternativi. Per rispondere alla sua domanda, sono loro a decidere della stabilità di Putin”.
Però Pavlovskij è convinto che Il fenomeno Putin non si ripeterà. “È stata una eccezione nata in tempi disperati come la Russia di fine anni Novanta. Dopo, verrà un Putin collettivo, sotto forma di una direzione collegiale, che parcellizzerà il potere – profetizza l’ex dissidente -. Non è detto che sia un male. Periodi del genere, nel nostro Paese, sono stati pochi ma fruttuosi, come fu con Kruscev e Gorbaciov. Perché di solito sono legati a un periodo di crescita e di rinnovamento. La Federazione russa non rappresenta un sistema formato, stabile e razionale. Tutt’altro. Tanto tempo fa, con Eltsin, è stato abbandonato il processo di Nation building. L’idea di costruire uno Stato nazionale normale, giusta o sbagliata che fosse, era troppo complicata e pericolosa. E di certo Putin non l’ha raccolta. Ci ha provato durante il suo primo mandato, poi ha capito che rischiava troppo. Da qui derivano alcuni paradossi. Stiamo conducendo una guerra ma non abbiamo un sistema statale a pieno titolo. Subiamo le sanzioni, e non abbiamo una gestione di qualità, dinamica dell’economia. Non abbiamo nemmeno una legislazione stabile, un costrutto del diritto sia pure non democratico e autoritario. Le sanzioni? Colpiranno duro a partire dalla fine di quest’anno. Ma bisogna capire, cosa che non riesce a molti nostri dirigenti, cosa rappresenta l’economia russa. Da noi, non esiste l’economia nell’accezione occidentale della parola. Ci sono reti orizzontali di nuclei familiari che si nutrono di economia statale. Negli anni ’90 e nei primi anni Duemila, si è creata un’economia di sopravvivenza in cui le élite e la popolazione sono divise. Quest’ultima chiede solo non di svilupparsi o progredire, ma di sopravvivere. Finché le élite lo garantiscono, possono fare quello che gli pare. È questo che gli osservatori occidentali faticano a comprendere”.
“In Russia il potere si mantiene saldi controllando i media. La nostra società dell’informazione lo aiuta molto, perché solo con la propaganda puoi conservare l’immagine mediatica di uno Stato organizzato. Non abbiamo un sistema statale degno di rispetto, ma la popolazione lo accetta comunque, perché segue i fatti attraverso i talk show della televisione. I sondaggi sulla popolarità di Putin valgono poco, anche se il potere vorrebbe che fossero indicatori del consenso. Ma non ne terrebbe in quantità industriali se tale consenso esistesse davvero. Il potere sovietico non faceva sondaggi, non gli serviva. È solo un problema di assuefazione. La gente non ha scelta, si dice d’accordo con quel che viene mostrato con messaggi carichi di emozioni, con questa televisione super emotiva, che quasi colpevolizza chi non si esalta”.
La guerra in Ucraina cambierà qualcosa? “È la pace, non la guerra, che definisce gli scenari futuri – afferma -. Ma purtroppo entrambe le parti in causa ripetono di non voler avviare alcun negoziato. Lo trovo stupido. Se la Russia vuole ottenere riconoscimenti che vadano oltre le conquiste territoriali, deve vincere o perdere non importa. Le nuove posizioni internazionali si fissano solo parlando con le controparti, non esiste altro modo, Sia in Ucraina che in Russia, purtroppo, è stata compromessa la stessa idea di un’intesa. Il crollo degli accordi di Minsk ha distrutto il concetto di diplomazia. Quindi, sarà difficile arrivare alla pace. Certamente Putin non accetterà un risultato che per la popolazione del paese non sia spiegabile – conclude -. E poi, più peggiora la situazione degli ucraini sul campo, più si abbassa la disponibilità di Mosca a un compromesso. Quando in Russia finirà questo modello di potere, e finirà senz’altro, sarà ben difficile cambiare la percezione della gente. Per questo non ci saranno cambi bruschi di potere. Per questo occorreranno decenni per avere una Russia diversa”.