A quattro anni di distanza si può dire che la curva populista giunta allo zenit nel 2018, prima col successo elettorale del M5s e della Lega di Salvini, poi con la formazione del governo gialloverde, sia in calo. Ne è convinto anche Giovanni Orsina che nel suo lungo editoriale uscito stamani su «La Stampa» scrive che “la scissione della creatura di Beppe Grillo ha tutta l’aria di esser figlia della convinzione diffusa che quell’esperienza sia giunta al capolinea”.
Per il politologo “al rifluire dell’ondata populista ha contribuito senz’altro il Covid-19, e forse ancor di più la risposta, molto meno salvifica di quanto non si sia detto, ma di certo non irrilevante, che l’Unione europea ha dato alla pandemia”. Difatti, come spiega Orsina, “il populismo italiano ha preso forma dopo la crisi del debito sovrano e l’esperienza del governo Monti, e l’insoddisfazione e le recriminazioni nei confronti dell’Europa vi hanno giocato un ruolo di primo piano. Nel momento in cui l’Unione ha mutualizzato un pezzetto di debito e messo denari sull’Italia, lo spazio per l’euroscetticismo si è oggettivamente ristretto”. Troppo presto dire il ruolo che giocherà la guerra in Ucraina, anche se abbiamo avuto già le prime avvisaglie. Il Movimento sembra si sia scavato la fossa con le sue stesse mani. Tant’è che oggi appare irriconoscibile agli elettori.
“Credo che l’ondata populista sia stata vittima del proprio stesso successo. Il Movimento 5 stelle è stato al potere per l’intera legislatura, la Lega per buona parte della sua lunghezza. Per più di un anno hanno governato insieme, rivoluzioni non ne hanno fatte, e alla fine hanno divorziato in malo modo. Alla loro innegabile abilità nel canalizzare politicamente la protesta e il malcontento, insomma, non ha corrisposto una pari capacità di fornire alla frustrazione delle risposte concrete. E gli elettori, che sono infelici sì, ma non fessi, li hanno mollati”, rimarca Giovanni Orsina su «La Stampa». Per il docente e storico non a caso “i voti che ha perduto Matteo Salvini si sono in larga misura trasferiti in un altro partito che si oppone all’ordine attuale delle cose, Fratelli d’Italia. Mentre quelli del Movimento 5 stelle si sono dispersi in vari rivoli, ma non sembrano affatto esser rifluiti verso le forze politiche moderate e ‘di establishment'”. C’è un altro fatto a cui bisogna prestare attenzione: l’astensionismo.“La fine dell’ondata populista, insomma, non ci riporta affatto verso un sistema politico solido, ordinato, fornito di una legittimazione robusta”, evidenzia Orsina.
“La trappola dentro la quale è chiusa la politica contemporanea può essere descritta in questo modo. L’accelerazione dei processi d’integrazione globale degli ultimi decenni ha creato nelle democrazie avanzate una faglia geografica, sociale e culturale molto profonda. Convinte che la soluzione vada cercata in un’integrazione ancora più completa e rapida, le forze politiche tradizionali non riescono più, né forse mai più riusciranno, a parlare agli scontenti. I partiti cosiddetti populisti raccolgono i voti infelici, ma al dunque non riescono a dis-integrare il proprio Paese dal resto del globo, perché i costi economici e sociali di un’operazione cosiffatta sarebbero immensi. E agli elettori frustrati non resta allora che saltare da un populista all’altro, nella vana speranza di trovare infine una risposta; oppure accettare di godersi il teatro populista pur sapendo che dietro il palcoscenico non c’è nulla; o infine mandare tutti a quel paese e, nelle domeniche elettorali, andarsene al mare”, conclude Orsina. L’esperto chiude il suo articolo con un interrogativo: riuscirà il conflitto in Ucraina a rompere l’incanto, a farci uscire da questo circolo vizioso? Non ci resta che attendere i prossimi mesi, che si preannunciano caldissimi.