Le preghiere non bastano. Non sono sufficienti a fermare l’orrore. Serve di più, molto di più per Mariupol. Questo, in sintesi il messaggio che il Maggiore Serhiv Volyna della 36esima Brigata Marines ucraina ha inviato ieri in un’accorata lettera a Papa Francesco.
Solyna non è cattolico ma si rivolge lo stesso a una delle massime autorità spirituali del mondo, da sempre in prima linea per la pace, ma al quale, oggi, si chiede di fare di più. Un Papa che viene da un paese difficile come l’Argentina e che – come dice il maggiore – nella sua vita ha visto tante cose. Però non ha visto Mariupol. Non ha visto donne e bambini nei bunker esposti costantemente al freddo e alla fame oltre che ai bombardamenti russi che proseguono imperterriti. Non ha visto malati e feriti che muoiono perché sono finite le medicine e non è possibile garantir loro il minimo delle cure. Mancano cibo e acqua, e tanti muoiono di fame oltre che di bombe. Per quanto è possibile sopportare un simile atroce spettacolo? Per quanto le nazioni potranno tollerare ciò che il criminale Putin sta facendo al popolo ucraino, costretto a difendersi in condizioni ormai disperate?
Possiamo solo immaginare lo stato d’animo dei resistenti di Mariupol e quelle parole strazianti ci riportano alla nostra incapacità di comprendere, di assimilare fino in fondo il dramma dei cuori ucraini che grondano sangue ma, al contempo, orgoglio patriottico.
Secondo la 36 Brigata, intitolata al contrammiraglio Mikhail Bilinsky, il tempo sta per scadere. Le munizioni scarseggiano e la ferocia dell’invasore presto abbatterà la propria scure su Mariupol simbolo di una città fantasma che, tuttavia, contro ogni aspettativa, resiste. La dignità e l’amore per la libertà sono le uniche armi rimaste in mano agli eroi ucraini per difendere se stessi e la popolazione civile.
E dire che il post con cui solo qualche giorno fa la stessa Brigata aveva lamentato la situazione disastrosa delle risorse militari a disposizione dei combattenti era stata contestata dalle stesse autorità ucraine, ma poi drammaticamente confermata da Alina Mykhailova, consigliere comunale di Mariupol e oggi volontaria nell’esercito. Purtroppo, senza un intervento deciso ed energico, la resistenza è destinata a capitolare. Se non sarà oggi, sarà domani. Ecco perché Volyna si rivolge al Papa, per passare velocemente dalle parole ai fatti, perché i civili vengano rapidamente aiutati a fuggire dalle mani del “Satana invasore” che vuole bruciare tutti gli esseri viventi. Sì, perché i militari già sanno che moriranno sotto le macerie di Mariupol, ma il pensiero va agli indifesi, a quei civili che si sono trovati esposti alla barbarie russa che tutto ha distrutto senza pietà.
E oggi si uniscono all’appello di Volyna anche le madri le mogli e i figli dei difensori di Mariupol. In una nuova lettera inviata al Santo Padre, testimoniano l’ulteriore peggioramento delle condizioni della città ormai ridotta in cenere e al centro della peggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. Commovente la speranza dei cittadini per la quale vivere con i militari nell’acciaieria avrebbe consentito di essere maggiormente sicuri e, forse, anche meglio nutriti o curati. Speranza che si sta infrangendo ora dopo ora, minuto dopo minuto, contro la dura realtà di una città sotto assedio costante h24 e che sta esaurendo ogni possibile risorsa, se non la forza d’animo e la fiducia in Papa Francesco, definito l’ultimo baluardo di speranza.
Facciamo nostri quegli appelli da Mariupol, confidando che il pontefice non ci deluda.