La sfida per le europee è iniziata. E la vera sfida, interna al nostro paese, si gioca tra le destre. Tre case europee distinte, con idee e programmi per l’Europa ben diversi. Ed ecco che nel bel mezzo dell’estate Matteo Salvini, butta lì un’idea, una strategia. Propone di unire tutte le forze di destra del continente per le prossime elezioni europee, senza pregiudizi né esclusioni, al solo scopo di scacciare i socialisti dal governo dell’UE attraverso un patto vincolante per tutti i partecipanti, in particolare per il Partito Popolare, che avrebbe impedito qualsiasi tentazione di accordi con la sinistra. Un’astuta strategia quella del “boss del Papeete”, che tuttavia nemmeno allucinazioni dovute al caldo torrido di questi giorni potrebbero far sembrare funzionante. È vero che, come sottolineato nell’editoriale di Ezio Mauro su Repubblica, c’è un vento favorevole alle destre in Europa, dimostrato dai risultati in Finlandia, Svezia e Italia, e da sondaggi anche in Spagna. Tuttavia, cercare di creare una coalizione che includa il PPE e Marine Le Pen, magari con l’approvazione degli estremisti dell’Afd, è come sparare a salve, perché per le forze moderate europee, come più volte ribadito, è incompatibile allearsi con componenti xenofobe, caratterizzate da venature razziste e addirittura neo-naziste. Salvini lo sapeva già molto bene, anche prima che Forza Italia, seppur con le implicite contraddizioni (Le Pen in Europa no, Salvini in casa invece?) lo smentisse. Eppure è andato avanti, perché dietro il pretesto di sfidare i socialisti, è la partita tra le destre nostrane quella che ora conta, il “nemico” è in famiglia.
La Lega dunque ha fatto la prima mossa, palla a Giorgia Meloni. E la domanda sorge spontaneamente, il Presidente del Consiglio quale destra rappresenta? O meglio, quale destra ha intenzione di rappresentare in Europa? È la questione fondamentale, perché riguarda l’identità di questo governo, del partito di maggioranza e della stessa leader, un’identità irrisolta da troppo tempo. Ecco perché Salvini attacca, scegliendo attentamente il tema che meglio gli permette di definire il profilo della Lega e le differenze e le distanze con Fratelli d’Italia. Bisogna distinguere il bacino elettorale dei due partiti, è questo l’obiettivo. E per farlo bisogna posizionarsi, Meloni lo sa ma ha sulle spalle il peso della responsabilità governativa. Salvini no, e quindi si muove per tempo, vuole gli estremisti, la destra “dura e pura”, insomma, si va di populismo e chiunque voglia salire sul carro è il benvenuto.
Il leader della Lega sceglie con cura anche il momento politico più adatto per lanciare la sfida interna alla coalizione di governo. L’interrogativo implicito a Giorgia Meloni, celato nella proposta di costruire una grande destra europea senza restrizioni né confini, colpisce la premier in un momento delicato, il momento in cui i nodi vengono al pettine, ed è l’ora di fare una scelta: rafforzare (la finta) immagine di underdog o soddisfare la voglia di diventare la statista che si confronta con i leader mondiali e siede legittimamente al tavolo del governo europeo (pur rifiutandosi di far parte dell’élite continentale)? Lottatrice o governante? Mentre la responsabilità istituzionale è un dovere a Palazzo Chigi e a Bruxelles, le posizioni e le pulsioni antagoniste sono riservate al conflitto permanente con la sinistra, in cui vengono rimproverati continuamente i suoi trascorsi, al fine di mantenere costantemente viva l’identificazione del nemico, anche a costo di non rivolgersi all’intero Paese. Naturalmente, tra i nemici c’è anche la magistratura, incitata in modo calcolato per ereditare davanti agli elettori l’ossessione berlusconiana.
Questa doppia strategia non può durare all’infinito. Già oggi mette a rischio la percezione italiana di Giorgia Meloni rispetto a quella europea. Se si protrae nel tempo, inevitabilmente metterà in luce l’ambiguità di una cultura che è sempre più indebolita perché sempre più indefinita. Inoltre, richiederà una ridefinizione complessiva dell’immagine della premier, che dovrà un giorno rendere conto del suo percorso, indicando ciò che ha lasciato indietro e ciò che ha ottenuto nel frattempo. L’accountability rappresenta proprio la possibilità per il cittadino-elettore di leggere in ogni fase la scelta del leader, le sue ragioni e le sue conseguenze, e di giudicarle mentre si sviluppano, non solo in base al risultato finale. In questo modo si valuta una cultura politica, non solo una prassi di governo.
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Date le difficoltà derivanti dal contesto internazionale, dall’ideologismo stesso e dal team di governo improvvisato, la presidente del Consiglio avrebbe chiaramente bisogno di più tempo per fare un resoconto reale del suo mandato.
Tuttavia, la mossa di Salvini, sterile nei suoi risultati a livello europeo, la obbliga già oggi ad accelerare il processo di chiarimento. È come se il leader alleato, posizionato sull’estrema ala della destra sovranista e nazionalista, stia facendo precipitare su di lei tutte le domande passate, presenti e future sul suo percorso politico: in che punto ti trovi nel tuo cammino? Dove ti sta portando? Quanto ti ha cambiato l’esperienza di governo? Mantieni ancora le tue idee sull’Europa o sei stata catturata dalla nomenklatura di Bruxelles? Tra Macron e Le Pen, chi sceglieresti o sceglierai? E soprattutto, cosa pensi dello slogan “nessun nemico a destra”?
Questa doppia strategia è complicata e non può durare all’infinito. Già oggi mette a rischio la solida, almeno per i suoi elettori, figura di Giorgia Meloni, creando nell’immagine pubblica un dualismo inconciliabile che sa tanto di doppiogiochismo. Meloni italiana o Meloni europea? Prima o poi la premier dovrà rendere conto del suo percorso, indicando ciò che ha lasciato indietro e ciò che ha ottenuto.
Andando contro il normale percorso di maturazione politica e anticipando la sinistra, la Lega individua un punto debole, o almeno una contraddizione, nel melonismo e lo sottopone strumentalmente all’attenzione degli elettori affinché si interroghino su chi sia più di destra. Prima mossa fatta. Vedremo col tempo se sarà funzionale. Perché va bene l’immagine di ambiguità che viene trasmessa di Meloni e del suo partito, ma quella della Lega? Le proposte insensate, per quanto strategiche, rimangono tali, e forse questo Salvini non l’ha capito. Ad ogni modo la partita europea è iniziata, ci aspetta un anno elettoralmente intenso.