Il pensiero unico: tra populismo, sovranismo e la necessità di un fronte liberale

Populismo e sovranismo vengono ricondotti a fenomeni recenti e a forme di estremismo, a personaggi come Grillo e Salvini, dimenticando che la cultura politica dal dopoguerra in poi, frutto del compromesso cattocomunista e, trasversalmente, tramandata fino ad oggi, è contrassegnata da anti-impresa, statalismo, iperburocrazia, assistenzialismo e giustizialismo. È il populismo e il sovranismo che hanno rappresentato il comune sentire della stragrande maggioranza delle forze politiche e sindacali dal ’46 in poi fino ai giorni nostri.

Questa è la cultura politica del ‘900. Poi ci si divideva in fascisti e comunisti, compagni e camerati, ma, al di là dell’ideologia, c’era un pensiero unico arrivato fino ai giorni nostri. Ieri c’erano Almirante e Berlinguer; oggi, con lo sgretolarsi delle ideologie e il degrado culturale della politica, abbiamo Vannacci e Salis.

In questo egualitarismo tra destra e sinistra, la questione centrale è che il pensiero unico, al pari dei collettivismi, è contrario alla natura umana e, come tutti i collettivisti – di destra e di sinistra – sanno di dover “rieducare” gli individui per adeguarli alle loro ideologie, così è anche per il pensiero unico. Il fine è sempre quello: imporre un ordine creato a tavolino a degli esseri pensanti che hanno desideri, aspirazioni, emozioni, sentimenti e visioni del mondo differenti, cangianti, insondabili.

Chiamiamo il tutto con il suo nome: società dell’individuo. Il pensiero unico ha condizionato democrazia e libertà; la società dei diritti ha progressivamente soppiantato doveri e responsabilità; la partecipazione dell’elettore è ridotta al votificio di tifoserie sempre più ristrette e sullo sfondo il lugubre epilogo della società dei diritti: la sua morte.

Se i collettivismi ricorrono alla forza per piegare la volontà individuale, il pensiero unico crea una fitta rete di corporativismo, clientelismo e caste condizionanti il sistema partitico, il tutto avvallato dall’espansione smisurata della burocrazia sovraccaricata di leggi e regolamenti per soggiogare l’individuo. Il pensiero unico populista e sovranista è illiberale e attraverso la rete assistenziale determina una forma subdola di schiavitù verso lo Stato.

La tanto conclamata povertà diventa così uno strumento per mantenere il controllo e assicurarsi che i poveri rimangano poveri, dipendenti dal sistema. Merito, competenza, concorrenza, pari opportunità e sussidiarietà diventano chimere e chi oggi aspira a una società fondata su questi presupposti è di fatto estraniato da tutto, in primis dalla partecipazione elettorale per mancanza di alternative.

Così come uno Stato minimo eliminerebbe il clientelismo politico, impedendo quel meccanismo per cui i politici distribuiscono favori e marchette in cambio di sostegno, uno Stato interventista è uno Stato manipolabile che gioca un ruolo troppo grande nel mercato e nella società, divenendo un mostro nelle mani di chi di turno è al potere. Ridurlo al minimo sarebbe fondamentale perché ci possa essere crescita economica, concorrenza, meritocrazia e pluralismo di idee.

Ma il populismo e il sovranismo non esisterebbero senza lo statalismo; verrebbe meno la prima condizione del loro esistere. Ecco il bipolarismo vero: quello tra società aperta e chiusa, tra chi vota e chi no, tra chi vive di conservatorismo e chi si mette in competizione nel mercato globale, tra liberalismo e illiberalismo. Il resto è roba da talk show per fare audience con tanto di passerella dei politici/attori secondo la migliore tradizione dell’avanspettacolo.

Il bipolarismo farlocco tra destra e sinistra è una commedia e per giunta venuta male. Alla fine il problema non sono i fronti popolari, la finta destra illiberale, i pacifisti, i putinisti, gli antisemiti e gli antisionisti; il problema è che a tutto ciò non si contrappone un fronte liberale coeso. Il liberalismo fatica a mettere radici, la fantomatica rivoluzione liberale è solo evocata.

Ecco il male oscuro del nostro tempo, che attraversa l’Occidente tutto e che lo mette a repentaglio delle dittature, delle oligarchie, dei fondamentalismi di ogni ordine e grado, pronti a colpire democrazia e libertà su cui si fonda la globalizzazione, intesa non solo come sviluppo tecnologico ed economico ma principalmente in termini di libertà individuale.

Libertà dalla fame, dalla sete, dalla miseria, ma non solo libertà materiali. Libertà di vivere la propria sessualità, le proprie credenze religiose, esprimere le proprie opinioni. Lo scontro oggi è su questo: è su Putin che invade l’Ucraina, è sull’Iran che vuole annientare Israele, è sul fondamentalismo islamico che vuole sottomettere gli infedeli occidentali.

Come si fa a ridurre tutto allo scontro tra Meloni e Schlein, ma nemmeno tra Macron e Le Pen. Il senso di una destra liberale sta qui, anzi starebbe qui se l’immaginario collettivo imposto dalla sinistra non avesse associato la parola destra a fascismo.

La destra liberale non solo non è fascista ma neanche antifascista, in quanto questo rappresenta la quinta colonna del primo sublimata da doppia morale. È in questo preciso spartiacque che prende forma l’idea di Patria.

Questa non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno ed è per questo che fascismo, così come qualsiasi idea collettivistica imposta con la violenza, non ci appartiene, non appartiene alla destra liberale, non appartiene alla nostra idea di Patria.

Per questo non è accettabile che le idee del liberalismo non trovino rappresentanza politica, non diano un riferimento a quei milioni di elettori che volutamente non vanno a votare e tra essi la stragrande maggioranza di giovani. La destra liberale non può rinunciare a essere protagonista nella costruzione del partito nuovo del liberalismo italiano.

Alle elezioni politiche del 2027 questo soggetto politico deve essere sulla scheda elettorale, deve rappresentare una speranza concreta di cambiamento. Magari non si chiamerà destra ma avrà la cultura politica e le idee della destra liberale, della Buona Destra.