No, il liberalismo non è affatto morto, anche se sono molti i fattori che lo espongono a rischi. Ha ragione il senatore Andrea Cangini, che questa mattina su Il Giornale dedica una lunga riflessione alla sopravvivenza dei valori dell’Occidente e all’esigenza dell’Occidente stesso di smetterla di piangersi addosso.
“Che la globalizzazione sia in crisi lo ammette anche l’Economist, che la necessità di far fronte a minacce globali abbia accresciuto più che mai il ruolo dello Stato è sotto gli occhi di tutti – scrive Cangini -. Anche molti occidentali danno per scontato che il liberalismo abbia le ore contate. C’è chi dice sia addirittura già morto. Ma se i valori di libertà e democrazia fossero davvero così usurati non si spiegherebbe la fila di stati ex sovietici (Ucraina, Moldavia e Georgia) davanti all’uscio dell’Ue e alle trincee dell’Alleanza atlantica (Svezia e Finlandia)”.
Il liberalismo, pertanto, è vivo e vegeto. “La democrazia liberale e l’umanesimo europeo esercitano ancora un potere attrattivo – scrive ancora -. Il liberalismo, dunque, è più forte di quel che si dice. Per consolidarlo, occorrerebbe prendere atto degli errori commessi dai liberali di destra e da quelli di sinistra, correggendoli. È stato un errore abbandonare le persone e le società occidentali alle dinamiche di un mercato privo di regole e di protezioni. Come dice Fukuyama, ‘il liberalismo va integrato, a vari livelli, con la democrazia sociale, così da equilibrare le ineguaglianze create dal capitalismo di mercato al fine di ridurre le disuguaglianze’. È un errore cercare di cancellare le identità e le culture nazionali in nome di un astratto cosmopolitismo e di un irrealistico egualitarismo”.
“Identità nazionale e metodo liberale non sono in contrasto – conclude -. Per confutare nei fatti le certezze putiniane basterebbe che le élite occidentali lo capissero, la smettessero di piangersi addosso e adattassero a questa consapevolezza la propria retorica pubblica”.