Continuano in tutta Europa e Stati Uniti cortei pro-Palestina, dove si arriva a sostenere Hamas e a legittimare la sua violenza, ma la spiegazione non è soltanto l’antisemitismo, comunque presente. Anche per ignoranza. Scrive Federico Rampini sulle pagine del Corriere della Sera: “Un docente americano, di fronte a studenti che giustificano la mattanza di civili israeliani del 7 ottobre, ha evocato i «pogrom». Si è sentito chiedere: «Cosa sono?»”. No, tuttavia non basta a spiegare quello che sta succedendo. C’è un sentimento molto più profondo presente nelle menti soprattutto delle giovani generazioni. L’idea di stare sempre dalla parte dei deboli.
Un principio che si estende ben oltre i confini del conflitto israelo-palestinese. Viene applicato in ogni campo della politica, dall’immigrazione clandestina alle politiche verso la criminalità. Giustifica ogni atteggiamento dei paesi ex-coloniali, che sembrano diritto a risarcimenti perpetui, indifferente poi quello che le classi politiche di questi paesi ci facciano.
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E se la debolezza di per sé diventa caratteristica positiva, il viaggio opposto fa la forza, la ricchezza. Quella dell’Occidente, che improvvisamente diventa una colpa. Con la convinzione che il benessere di cui godiamo sia solo frutto di crimini contro altri popoli, attraverso lo sfruttamento, le guerre coloniali, il saccheggio di risorse naturali. Un’idea che trova riscontro tra i giovani occidentali. Ma non nella realtà.
Nessuno vuole negare i crimini documentati storicamente, nessuno vuol far credere che il mondo occidentale sia un posto stupendo fatto di unicorni e zucchero filato. Ma è essenziale comprendere come senza la nostra Rivoluzione industriale ad esempio (quell’orribile cosa che secondo molti ha avuto l’unico effetto di distruggere il pianeta portando alla crisi climatica) non sarebbero vivi tre miliardi di cinesi e indiani, o un miliardo e mezzo di africani. È grazie ai nostri sistemi agricoli avanzati, alla nostra medicina se ciò è possibile. I miracoli economici asiatici che hanno tolto dalla miseria metà del pianeta sono avvenuti copiando il nostro sistema imprenditoriale e il nostro modello scientifico.
Le tragicità di cui ci accusiamo sono si vere, ma sono state commesse da tutte le civiltà umane. Schiavismo e colonialismo praticati anche da arabi, turchi, cinesi e russi. Ma noi, con la nostra mentalità liberale siamo riusciti a denunciarli e superarli.
E ciò si applica anche al caso di Israele. La sua ricchezza è recente, fino agli anni ottanta il paese era socialista e povero. Il boom economico è stato raggiunto grazie ad imprenditorialità e innovazione. Le condizioni dei palestinesi e la loro mancanza di diritti sono ingiuste e inaccettabili, ma non spiegano la ricchezza di Israele.
Ma quando sulle pagine del New York Times esce un dialogo tra una mamma di Atlanta e un insegnante, entrambi elettrici democratiche, in cui la prima è sgomenta nello scoprire un indottrinamento a senso unico nelle scuole, con professori che demonizzano Israele e legittimano Hamas, e la seconda che le risponde: «Starò sempre dalla parte di chi ha meno potere, meno ricchezza. Questo vale a prescindere dagli atti estremi commessi da alcuni militanti, esasperati a furia di vedere il proprio popolo morire», allora ci si accorge di avere un problema.
I deboli non hanno sempre ragione, semplicemente perché nessuno a ragione a prescindere. Urge un dialogo con i nostri giovani, su cos’è l’Occidente, su cosa siamo noi, su come siamo arrivati fin qui. Criticare è giusto e può essere produttivo, ma bisogna smetterla con questo occidentalissimo odio per l’Occidente. Come si può pensare di conquistare consenso nel Grande Sud globale che ci volta le spalle se noi siamo i primi, fin dai banchi di scuola, ad odiare la nostra civiltà?