Se qualcuno, con un bello strato di ipocrisia sullo stomaco, non riconosceva che l’aggressione all’Ucraina rappresentava l’inizio di questo scontro di civiltà, con l’attacco di Hamas a Israele, ogni dubbio dovrebbe essere svanito, ma sappiamo fin troppo bene che non sarà così. Lo scontro di civiltà si svolge su due piani. Il primo è quello dello scontro armato, il secondo sul piano politico in cui il populismo sovranista è la cultura illiberale che ha come obiettivo primario lo sfaldamento dell’Occidente, simbolo e prassi del liberalismo.
Nella storia e nella cultura italiane sono radicate correnti anti-Occidente. Nella destra radicale avevano un sapore naturalmente fascista, giacché era difficile dimenticare che erano state le democrazie occidentali a spodestarla dal potere. La sinistra comunista aveva trovato il proprio riferimento nella dittatura sovietica, talché i favorevoli all’Europa unita di oggi erano favorevoli ieri all’Europa sfregiata in due. Nel mondo cattolico facevano riferimento a un terzomondismo missionario che portava l’Italia ad avere più un’aspirazione mediterranea che europea. Quasi tutti questi riferimenti sono spariti, seppelliti dalla storia, ma non per questo è venuto meno l’anti-occidentalismo, che si ripresenta vestendo i panni di un pacifismo neutralista e isolazionista.
La politica è l’attività simbolica per eccellenza, per cui esporre la bandiera della pace accanto a quella di Israele è piena espressione e volontà politica dell’anti-occidentalismo. Israele è da sempre il nostro avamposto in una terra dove libertà, democrazia e stato di diritto non sanno cosa significhino.
Il fronte ucraino rappresenta la “Resistenza” contro ogni forma di totalitarismo comunque espresso. Se soccombe l’Ucraina, la prossima sarà la volta di Taiwan. Il fronte illiberale ha tre grossi centri di direzione politica e militare: la Russia di Putin, la Cina e l’Iran.
In questo contesto geopolitico, la parola “pace” ha solo il significato di resa del liberalismo e quindi dell’Occidente. Cosa vuol dire pace per il popolo ucraino se non la sconfitta militare e politica del terrorista Putin, che uccide civili inermi? Cosa vuol dire pace per il popolo israeliano se non l’affermazione piena e incondizionata del diritto di esistere attraverso la sconfitta culturale e politica del fondamentalismo islamico che riduce, senza pietà, il popolo palestinese a schiavitù per i suoi fini politici e strategici, anche se esso non è privo di colpe? Cosa vuol dire pace per il popolo iraniano se non la messa al bando di un regime teocratico e delinquente che sopprime i diritti e arresta, tortura ed uccide chi chiede democrazia? Cosa vuol dire pace per il continente africano oggi destabilizzato dalla Cina, che si accaparra le risorse minerarie fondamentali per le tecnologie esistenti e quelle in fase di sperimentazione?
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Il generico richiamo alla pace, nella profonda ipocrisia che esprime, dice che il popolo ucraino deve arrendersi a Putin, che il popolo israeliano deve rinunciare alla propria identità e esistenza, che il popolo iraniano non deve pretendere libertà e democrazia, che l’Africa accetti di essere il feudo cinese. L’Occidente libero, democratico, non è certamente privo di contraddizioni e difetti, ma ha in sé gli anticorpi per superare contraddizioni e difetti e questo ne produrrà di nuovi e via di seguito. Un “cantiere” sempre aperto che non può vedere mai la fine pena il soccombere alla dittatura comunque espressa.
La società aperta è questo, niente di più, ma neanche niente di meno e in questa società, il liberale, forte della irreversibilità del nesso tra libertà e progresso, deve fare la differenza. Quando il mondo liberale è frantumato in mille pezzi, non riesce a costruire una casa comune, prendono il sopravvento stupidi e infantili personalismi, si affida a schemi politici incoerenti con l’essere liberale, vince il populismo sovranista, vince tutto ciò che è illiberale. È come tradire quei ragazzi che combattono sul fronte ucraino, che difendono con unghie e denti il nostro avamposto in Medio Oriente. Non basta ritrovarsi fianco a fianco nelle piazze per poi continuare, il giorno dopo, nel solito tran tran. Era stata accesa un’esile speranza con quel Terzo Polo nato con mille contraddizioni, ma che nel rappresentare quella sfida liberaldemocratica che diceva di voler essere, ci sarebbero stati gli anticorpi per diventare quel fondamentale progetto politico per il Paese Italia perennemente assente. Bastava essere liberali, coerentemente liberali. Oggi uniti nelle piazze, domani divisi e incapaci di fare una semplice lista unitaria per le europee. Donne e uomini di Ucraina, donne e uomini di Israele, donne e uomini dell’Iran, non mollate, il liberalismo è nelle vostre mani e perdonateci, se potete, il nostro odierno infantilismo.