All’indomani della caduta del Muro di Berlino immaginavo che, da quel momento in avanti, le ideologie che erano alla base della storia e della discussione politica avrebbero dovuto lasciare il posto a un certo pragmatismo e comunque non sarebbero più state le catalizzatrici di quella attenzione che avevano avuto in passato.
Quale mai poteva continuare ad essere la ragione per cui ci si professava di sinistra o di destra? O magari di centro, illudendosi veramente di essere sintesi perché “in medio stat virtus”? E ancora: quale destra o quale sinistra tra l’ampia gamma di declinazioni sullo scenario politico?
Mi divertivo a immaginare che se ognuno di noi avesse avuto un tasto di reset cognitivo, un forellino dove inserire la punta di una matita per i secondi necessari, il tempo di riavviare, dopo si sarebbero materializzate nuove aggregazioni di persone, impensabili qualche attimo prima.
Ero allora un attivista sindacale in Cgil di categoria. Mi rivolsi a un collega che militava in Cisl, a quel tempo simili persone si identificavano come democristiani doc, veramente una brava persona, e gli chiesi come sarebbe sopravvissuta la Democrazia Cristiana da quel momento in poi. Mi rispose: “Da ora in poi sarà difficile”.
Nella mia categoria sindacale a quel tempo c’era una componente veramente progressista e innovativa. Al congresso del ’91 affrontai le assemblee sui posti di lavoro in maniera netta (forse troppo). Parlai di compatibilità delle richieste dei lavoratori con le esigenze dell’azienda e di compartecipazione. Dissi che quello era un momento di cambiamenti epocali e che, come un giocatore di poker, dovevamo avere il coraggio di cambiare quattro carte. Dissi anche che era venuto il momento di nuovi riferimenti, che destra e sinistra non bastavano più e che dovevamo immaginare un nuovo percorso.
Mi inventai che potevamo andare a Nord-Ovest. Nord perché era da sempre sinonimo di progresso. Ovest perché ci riportava alla west-cost, la California, la rivoluzione musicale, la libertà. Per me era la sintesi per un “progresso a misura d’uomo”. Persi il mio congresso provinciale.
Faccio un salto fino ad oggi. Il sovranismo e il populismo potrebbero vincere la loro battaglia e, utilizzando gli strumenti della democrazia liberale, portarci verso una democrazia illiberale. Jason Brennan descrive bene il fenomeno quando divide gli elettori in vulcaniani, hooligan e hobbit. E conclude affermando che la democrazia oggi è il governo degli hooligan e degli hobbit.
Ci sono però segnali di sfaldamento negli schieramenti attuali. Prese di posizione che vanno in controtendenza ma che sono ancora come “il non finito” di Michelangelo, corpi che cercano di liberarsi dal marmo informe ma non ci sono ancora riusciti. Mara Carfagna è in cerca di una destra che la rappresenti. Flavia Perina parla di nuovo crinale della discriminante politica diverso anche da destra/sinistra. Teresa Bellanova urla dal palco della Leopolda che il merito è di sinistra.
Queste posizioni andrebbero ricomposte in un fronte unico, democratico e liberale, e indirizzate verso un nuovo orizzonte comune. Un fronte unico che può essere anche una federazione oppure in principio una confederazione di intenti.
Non è facile dire a chi ha militato per una vita dentro a uno schieramento di dimenticarsi il passato come se non fosse esistito e di andare a braccetto con chi è stato l’avversario di sempre. Difficile superare i freni emotivi affinché, come auspica Sandro Gozi, le famiglie politiche, democratiche e liberali, abbiano il coraggio di oltrepassare il Rubicone politico le separa.
Occorre un compromesso tra queste posizioni. Un compromesso in cui le parti lascino una parte importante di sé e si riconoscano a vicenda. Un compromesso, per dirla con Amos Oz, che debba essere doloroso per tutti allo stesso modo, altrimenti non funzionerebbe. Un compromesso che permetta di costruire una forza d’urto contro i massimalismi e i populismi e che ci garantisca un futuro di democrazia e libertà.
Magari andremo veramente a Nord-Ovest.