In questi giorni fa notizia che i fratelli Bianchi, due degli assassini di Willy, il ragazzo di Colleferro ucciso apparentemente solo per aver aiutato un amico in difficoltà, sono praticanti e appassionati di MMA (arti marziali miste). Come era prevedibile, ne è nata un’aspra polemica giornalistica che ha riproposto lo stereotipo della correlazione tra arti marziali e violenza, accusando indistintamente tutte le discipline e gli sport da combattimento di contribuire a creare individui violenti proni a brutalità e razzismo.
Va premesso che una tale generalizzazione è del tutto infondata, non essendo basata su studi scientificamente validi. Non esiste infatti nessuna evidenza, se non sporadici casi aneddotici, che le arti marziali promuovano la violenza. Al contrario, gran parte degli studi di settore dimostrano come la maggioranza dei praticanti, statisticamente parlando, non siano più inclini alla violenza della popolazione generale e, in molti casi, acquisiscano un maggior controllo di pulsioni violente. Tuttavia, se ci focalizziamo solo sulle MMA, una correlazione tra pratica e violenza razziale, seppur minoritaria, esiste ed è oggi spesso sottovalutata, in modo particolare da chi pratica questa disciplina. Ciò che è accaduto non sorprende gli studiosi che da anni si interessano ai Martial Arts Studies e dovrebbe fare riflettere tutti su un aspetto da troppo tempo ignorato: quello della commistione tra MMA ed estrema destra.
Da anni infatti in America le scienze sociali hanno evidenziato un legame preoccupante tra gli ambienti di estrema destra, sovranisti, antisemiti e suprematisti bianchi, e il mondo delle arti marziali miste. Secondo la letteratura specialistica questa relazione è dovuta a diversi fattori psicologici, tra i quali spiccano il culto del corpo, la fascinazione per le stereotipate e immaginarie figure guerriere e l’amore per la violenza ritualizzata, ma anche il senso iniziatico e di esclusività tipico delle arti da combattimento più estreme. Esistono poi fattori socio-antropologici, come ad esempio la sempre più evidente diffusione del militarismo e l’esasperazione dell’individualismo. Le ragioni storiche di questo rapporto sono anche da ricercarsi nella forse deliberata strategia di mercato promossa da una delle più vecchie organizzazioni promotrici di incontri, la UFC (Ultimate Fighting Championship), nei primi anni di diffusione del fenomeno MMA, per ritagliarsi un publico di fedeli in un segmento demografico non legato ad altri sport da combattimento.
A questo poi si aggiunse la volontà dei movimenti di estrema destra americana, come ad esempio Hammerskins o il Patriot Front, di dotarsi di uno strumento di protezione personale che fosse anche in grado di promuovere legami di solidarietà tra gli affiliati. Circa un decennio fa, dopo lunghe discussioni online sulla nota piattaforma di estrema destra Stormfront, e l’ovvia esclusione di altre discipine come la boxe (che fu scartata per la sua importanza nel mondo afro-americano), il Krav Maga (che non fu presa in considerazione in quanto arte marziale dello Stato di Israele e associata al popolo ebraico) e le arti asiatiche tradizionali, la scelta ricadde sulle MMA. Tra le ragioni addotte, oltre ovviamente alla fascinazione prodotta da un mondo dominato quasi esclusivamente da atleti bianchi caucasici, troviamo anche la fondamentale retorica della superiorità dell’occidente, espressa tramite l’assunto che le MMA siano la metafora dell’occidente che prende il meglio di ciò che culture inferiori producono e lo migliora scientificamente.
A questo va aggiunto che le palestre di MMA si sono rivelate, per il mondo suprematista americano, un fertile terreno di reclutamento e radicalizzazione. Infine, diversi studi di neuroimmagine funzionale hanno evidenziato preoccupanti somiglianze tra le lesioni riscontrate nei praticanti avanzati di MMA e quelle comunemente trovate nei soggetti che hanno partecipato attivamente in gruppi suprematisti bianchi. L’ipotesi è che queste lesioni siano correlate con l’assuefazione alla violenza e l’incontrollabile ostilità verso chi è fisicamente diverso creando un ponte naturale tra MMA e gruppi di estrema destra.
Oggi la UFC e le altre organizzazioni promotici, ad esempio Bellator, hanno fatto numerosi passi avanti, cercando rendere il mondo degli incontri più vario sotto il profilo razziale, ma ormai purtroppo il danno è fatto e le infiltrazioni sono difficili da eliminare. Basti pensare che sono ancora molti gli appassionati americani che interpretano gli incontri tra lottatori bianchi e afro-americani, come nel caso emblematico delle polemiche seguite all’incontro tra il campione di MMA Conor McGregor e il pugile di colore Floyd Mayweather, come una metafora della guerra razziale a loro dire in atto nel paese. Nei casi più estremi le tensioni si traducono in violenza, come nel caso gli scontri di piazza tra dagestani e di irlandesi seguiti all’incontro tra McGregor e Khabib Nurmagomedov.
Anche in Italia il problema è presente in modo sempre più preoccupante. La mancanza di regolamentazioni in un mondo in continua crescita ha fatto sì che la stessa relazione tra le MMA i gruppi estremisti di destra che si è descritta per l’America si stia saldando anche nel nostro paese. Così come accade in America e nel resto d’Europa, le MMA fanno leva sul panico morale e la percezione di rischio tipici di questo momento storico e raccolgono, statisticamente parlando, individui provenienti dallo stesso segmento demografico cui i gruppi di estrema destra guardano con estremo interesse: giovani di periferia di classe medio bassa, ovvero elementi della classe medio alta insicuri, spaventati, e annoiati alla ricerca di un’attività fisica inconsueta. Inoltre, mancando ancora una chiara struttura di riferimento nazionale, in particolare relativa alla certificazione degli istruttori, e necessitando di minimi investimenti iniziali, è molto facile per movimenti di estrema destra attivare veri e propri corsi di MMA nelle loro sedi.
Nella storia del nostro paese il mondo delle arti marziali e degli sport da combattimento è da sempre gravitato attorno ai partiti di centro-destra, ma senza che ciò abbia mai comportato derive violente o antisociali. Anzi, in tantissimi casi, la destra italiana ha saputo guidare, promuovendo e supportando, il panorama marziale nazionale che ha raggiunto negli ultimi anni diversi importanti traguardi internazionali. Tuttavia, il mondo delle MMA è oggettivamente diverso e spesso i praticanti non sembrano capaci di operare da soli la fondamentale distinzione tra il combattimento nella gabbia, il ring, e quello da strada, risultando alla perenne ricerca di un avversario con cui confrontarsi. Un nemico che spesso viene loro indicato nella figura dell’immigrato dalla retorica elettorale dell’attuale destra. Le responsabilità della destra parlamentare non sono certo dirette, ma i partiti non sono esenti da colpe se ignorano il problema e vengono meno alla loro funzione educativa. Il continuo ricorso alla violenza verbale, l’alzare la barra del livore socialmente accettabile, il continuo corteggiare a fini elettorali certe organizzazioni estremiste e l’assordante silenzio dei leader della destra in casi che vedono coinvolti iscritti o simpatizzanti costituiscono una precisa responsabilità politica.
Concludendo, è ovviamente ingiusto attribuire queste tendenze a tutti i praticanti di MMA italiani, disciplina che oggi coinvolge diverse migliaia di persone che mai si renderebbero complici di azioni così efferate. La stragrande maggioranza dei praticanti di MMA non è sicuramente coinvolta in movimenti xenofobi e violenti, come dimostrano gli appelli di numerosi lottatori ed istruttori a distinguere tra loro e i fratelli Bianchi, ma è comunque una realtà da non sottovalutare. Per questo riteniamo fondamentale che la destra italiana assuma finalmente una posizione univoca che la distanzi dal mondo degli estremisti, rivendicando anche il suo ruolo guida nel mondo delle discipline marziali e sport da combattimento. È dunque necessario procedere speditamente verso la regolamentazione, così come avviene per molte discipline da combattimento, in accordo con i maggiori esponenti del mondo MMA italiano. A questo va poi aggiunto un maggior controllo di un fenomeno che ha aspetti davvero preoccupanti valutando anche l’opportunità di escludere dalla pratica individui con precedenti penali, o prevedere serie aggravanti per quei praticanti esperti che commettono aggressioni gravi, soprattutto se a sfondo razziale.