Sono tempi frenetici per la giustizia italiana, come forse non si vedeva da molto molto tempo e questo certamente è un bene per lo stato di salute del settore, da troppo tempo immobile e paralizzato da parole che non si traducono mai in fatti concreti e riforme organiche.
Fra i referendum del 12 giugno e l’approvazione definitiva della Riforma Cartabia si registra effettivamente un cambio di passo nella determinazione con la quale si sta cercando di portare una salutare ventata riformista nell’asfittico mondo giudiziario. Tutto questo malgrado il silenzio mediatico sui referendum e le controspinte conservatrici di parte della magistratura associata.
Lo scandalo Palamara e l’ipocrisia che ha accompagnato l’intera vicenda è stata probabilmente la spinta al cambiamento – agevolata anche dalla necessità di riformare il sistema per poter accedere ai fondi del PNRR – non tanto per il legislatore, quanto per l’opinione pubblica. Si è scoperto il vaso di Pandora e adesso “il re è nudo”: in altre parole, si sta incrinando il fronte ideologico che per trent’anni ha visto il “popolo” schierato sempre e comunque dalla parte delle toghe e al contempo le istanze di rinnovamento hanno fatto breccia anche nello stesso mondo dei giudici tanto che, a ragione, si è parlato di fine del mito dell’unità sindacale dell’ANM. Molti giudici stanno coraggiosamente sfidando i vertici della magistratura sia accogliendo con favore la riforma del Governo sia addirittura facendosi promotori di iniziative per il SI ai referendum.
Tutto questo, già da sé, rappresenta un grandissimo risultato, anche qualora i referendum non dovessero raggiungere l’agognato quorum. Far comprendere che non si tratta solo di tematiche tecniche ma di questioni che riguardano tutti è davvero una vittoria, sia per la politica (con la Riforma) sia per i promotori dei referendum. D’altra parte la sfiducia che i cittadini manifestano Nei confronti di questo sistema, da un lato è un campanello d’allarme non trascurabile ma dall’altro può davvero diventare la breccia attraverso la quale far passare le necessarie riforme e riportare la Giustizia su binari costituzionali di equità e efficienza.
Infatti, sarebbe un errore pensare che le riforme siano animate da spirito punitivo contro la magistratura – come vogliono fare capziosamente intendere i sostenitori del NO. Si tratta di una critica infondata e tutta ideologica, che ignora volutamente (o peggio, vuol difendere) i privilegi di casta su cui una parte della stessa magistratura si è arroccata. Se riuscissimo ad abbandonare l’ideologia e aprire un confronto sul merito sarebbe davvero un ulteriore ottimo risultato, ma su questo, siamo ancora ben lontani.
Per quanto positivo dunque sia il clima generale, pensare che ciò sia sufficiente e “dichiarare vinta la battaglia”, sarebbe ingenuo e velleitario. Se da un lato è vero che finalmente le persone sono più sensibili rispetto a questi temi, non più solo per addetti ai lavori (purché ovviamente, si abbia la voglia di informarsi e approfondire), è pur vero che certe situazioni tendono a conservare se stesse e a reagire prontamente a ogni cambiamento. Luca Palamara ad esempio su questo è molto chiaro: Il “Sistema” tende all’autoconservazione e quindi, a far rientrare possibili spinte centrifughe in dinamiche opache e controllabili. E se non ci riesce ti cancella”. Perciò pensare, ad esempio, che una volta espulso lui – di fatto, capro espiatorio di una patologia assai diffusa e capillare – il CSM si autoriformi o elimini autonomamente il peso delle correnti, è illusorio se non proprio folle. La verità è che l’organo di autogoverno continua a funzionare secondo le medesime regole correntizie di prima. E’ qui che occorre la politica, e la politica è ancora troppo timida. La Riforma Cartabia non incide in modo radicale sul mondo correntizio limitandosi a una riforma blanda e del sistema elettorale i cui esiti potrebbero addirittura rafforzarne il peso (come fa notare il Dott. Sebastiano Ardita). Si poteva fare di più e meglio!
Altro tema che non è stato minimamente toccato dalla Riforma è quello della responsabilità civile del magistrato. Niente si dice a tal proposito. Ci avevano provato i promotori del referendum proponendo il relativo quesito, ma è stato bocciato dalla Consulta sulla base di un ragionamento non proprio ineccepibile anche dal punto di vista tecnico. Peraltro, sarebbe stato un tema estremamente attrattivo per l’opinione pubblica, anche in considerazione dei numerosi errori giudiziari che si verificano nel nostro paese (per una informazione più dettagliata si fa presente che addirittura esiste un sito a ciò dedicato).
Nella politica e nelle istituzioni ha prevalso la paura rispetto all’eventuale verdetto del corpo elettorale, ma occorrerà tornare sul punto. Insomma, in sintesi il momento attuale, alla vigilia dei referendum e dell’approvazione definitiva della Riforma Cartabia induce a un moderato ottimismo ben consapevoli dell’occasione storica che si presenta e nella speranza che prevalga il coraggio e la volontà di costruire veramente una Giustizia veramente giusta ed equa.