Ha fondato tutta la sua carriera politica sulla coerenza, ma in realtà, se questa non è una messinscena come è probabile che sia, sarà solo l’incoerenza a salvare Giorgia Meloni da se stessa, dal suo estremismo, dal suo sovranismo populista. A cominciare dalla continuità col governo di Mario Draghi, necessaria per la sopravvivenza di un Paese in difficoltà. Difficoltà che diventa così per la Meloni una perfetta scusa per l’inversione di marcia rispetto alle proposte ideologizzate che ci ha propinato per anni.
Da destra dura e pura a destra draghiana il passo per Meloni è stato breve, sempre ammesso che si tratti di realtà e non di finzione. La trasformazione da populista sbraitante in realista e moderata per quella che urlava “IoSonoGiorgia” ai comizi di Vox si è consumata in un attimo, certificata dal passaggio di consegne indolore con Mario Draghi e dall’ingaggio immediato come consigliere di un ex ministro draghiano come Roberto Cingolani. Senza dimenticare che al MEF la nuova premier ha messo un altro draghiano, il leghista Giancarlo Giorgetti, sempre più distante dalle posizioni di Matteo Salvini, e agli Esteri un europeista convinto come Antonio Tajani, fermo riferimento nel PPE ed ex presidente del Parlamento europeo, anche lui distante anni luce dai deliri putiniani del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi.
E che dire dell’incontro, all’insegna di quell’europeismo in passato tanto vituperato da Fratelli d’talia, con il presidente francese Emmanuel Macron, tra i primi impegni ufficiali del presidente Meloni? “Nel corso del colloquio, seppur informale, sono stati discussi tutti i principali dossier europei – recita una nota di Palazzo Chigi -: la necessità di dare risposte veloci e comuni sul caro energia, il sostegno all’Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori. I presidenti di Italia e Francia hanno convenuto sulla volontà di proseguire con una collaborazione sulle grandi sfide comuni a livello europeo e nel rispetto dei reciproci interessi nazionali”. Continuità e collaborazione sottolineate anche in un tweet dello stesso Macron: “Come europei, come Paesi vicini, come popoli amici, con l’Italia dobbiamo continuare tutto il lavoro iniziato. Riuscire insieme, con dialogo e ambizione, lo dobbiamo ai nostri giovani e ai nostri popoli. Il nostro primo incontro a Roma, Giorgia Meloni, va in questa direzione”. Sembrano lontani i tempi in cui Meloni e Salvini sposavano la causa dei gilet gialli, permettendo così a Macron di utilizzare l’estremismo dei sovranisti italiani in chiave anti Le Pen.
Insomma, Giorgia sta tentando di rifarsi una verginità moderata. Puntando sull’incoerenza con quello che è stata, lei che della coerenza ha fatto un mantra mistico, un dogma quasi religioso. Tutto sta a capire quanto durerà, perchè il dubbio sulle reali intenzioni della Meloni resta. Non tanto sull’atlantismo anti russo, che comunque accomuna in buona parte i conservatori europei di cui è segretario, quanto sulla sua versione liberal democratica che rischia di infrangersi al primo ritorno di fiamma – che non tarderà a venire – con l’amico ungherese Viktor Orban o con un altro leader sovranista. “Il punto rimarrà sempre lo stesso: si riuscirà a implementare qualcosa – si chiede al riguardo anche il leader di Azione Carlo Calenda -? Forse riusciremo a capire alla fine che questo continuo conflitto ideologico è solo una strategia di marketing per prendere i voti e mantenerli davanti all’inconsistenza dei risultati”. Chi vivrà vedrà.