“Se non ci fosse la guerra scatenata da Putin in Ucraina e le pesanti conseguenze che ne derivano, il governo Draghi sarebbe già finito”. Ad affermarlo, in una nota, è il coordinatore regionale Buona Destra Puglia, Giuseppe Romito, secondo il quale già a febbraio eravamo ad un passo dalla rottura: “La visita di Mario Draghi a Sergio Mattarella per esternare tutta la sua irritazione di fronte agli agguati dei partiti era stata una chiara avvisaglia”.
Tuttavia, il 24 febbraio l’invasione delle truppe russe in Ucraina, “hanno aperto uno scenario inedito e drammatico, che non poteva non condizionare le vicende politiche nazionali in tutta Europa, congelando – dice Romito – la potenziale crisi di governo in Italia”. E se anche questo stallo non ha impedito ai partiti “in particolare al M5S ma anche alla Lega, di logorare l’Esecutivo con atteggiamenti ambigui proprio sulla guerra, è evidente che nessuno può prendersi la responsabilità di far cadere il governo nel pieno della più grave crisi internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale”.
Ma fino a quando può durare questo limbo? “A giudicare dalla scelta di Lega e Forza Italia di far saltare la riforma del fisco e dall’aggrovigliarsi di veti incrociati sul provvedimento Cartabia che riforma il Csm – spiega il coordinatore – le tensioni all’interno della maggioranza sono destinate a crescere ogni giorno di più. D’altra parte, Draghi sa che i parlamentari non faranno karakiri, facendogli mancare l’appoggio fino a quando non saranno maturate le coperture previdenziali di questa legislatura. Ma anche lui, che ora è bloccato dall’emergenza del conflitto, non ha nessuna intenzione di tirare a campare. E se solo si aprirà uno spiraglio, non si farà scappare l’occasione di togliersi dalla linea di tiro dei partiti”.
Ma per Romito l’interrogativo è “cosa produrrà questa commistione tra l’irresponsabilità della classe politica, che affronta un passaggio epocale, con la logica becera della speculazione elettorale, e la stanchezza mista a irritazione di Draghi, cui sembra mancare l’intenzione di usare la leva della sua insostituibilità per forzare la mano e imporre le sue scelte?”. Del resto “non lo ha fatto durante la lunga fase della campagna quirinalizia e non lo sta facendo ora, come dimostra il mezzo passo indietro di fronte a Conte sui tempi di aumento delle spese militari, protratti fino al 2028”.
Per Romito, in buona sostanza, la politica italiana sta mostrando tutti i suoi limiti. “La nascita del governo Draghi e della maggioranza larga che lo ha votato, avevano fatto sperare che i drammatici vuoti dei partiti e della classe politica, dal punto di vista politico, culturale, programmatico e morale, potessero essere riempiti e che le istituzioni potessero essere rivitalizzate e risanate. Ma così non è accaduto, e probabilmente è stato ingenuo sperarlo. E nemmeno di fronte ad una guerra alle porte di casa, pare si possano prendere posizioni politiche coraggiose. Basta osservare le ambiguità con cui stanno gestendo le proprie posizioni rispetto alla guerra e a Putin, la Lega di Salvini, il M5S, Berlusconi. E poi lo strano silenzio di Renzi e di chi sta a sinistra del Pd, confortati dalle allucinanti posizioni dell’Anpi”.
“Bisogna dire – aggiunge Romito – che un contributo importante a determinare nel Paese questo clima inquinato, lo stanno dando i media e più in generale il mondo culturale e intellettuale: da un lato, la spettacolarizzazione della guerra e del dolore; dall’altro la banalizzazione dei grandi temi geopolitici: sono gli ingredienti di una indigesta pietanza mediatica che ogni giorno ci viene fornita abusando del titolo di informazione. Che diventa inqualificabile quando si aggiungono le risse da talk show, alimentate anche a costo di dare spazio e voce a portatori di tesi improbabili o palesemente false e apertamente negazioniste”.
Il coordinatore Romito conclude con una puntuale disamina europea.
“Se alle ambiguità sulla guerra si aggiungono tutti i distinguo dei partiti di maggioranza, si vede quanto sia mortificato lo spirito dell’unità nazionale. Se poi si considera il rischio che in Francia possa vincere la destra nazionalista e filo-russa (quantomeno la crescita della Le Pen è indubbia), andando a rafforzare i significati della riconferma di Orban in Ungheria, con tutto quello che rappresenterebbe anche per noi, si comprende come l’infinita transizione politico-istituzionale italiana possa avere esiti devastanti”.