Prima occorre far sbarcare i migranti a bordo delle navi delle Ong che chiedono un porto sicuro e poi si potrà domandare alla Germania e agli altri Paesi inseriti nel meccanismo di redistribuzione volontaria di accoglierli. Non il contrario. Ursula von der Leyen è stata molto chiara, in linea con la posizione del governo tedesco, che in estate ha offerto la sua disponibilità ad accogliere fino a 3.500 migranti salvati nel Mediterraneo. Giorgia Meloni però ha subito messo le mani avanti e fermato la presidente della Commissione europea: «La nostra priorità ora è la difesa dei confini esterni, non la redistribuzione». Ed è la sua la posizione da sempre difesa dai governi dei Paesi di Visegrad. Lontana anni luce da quello che era il modus operandi di Mario Draghi.
Come osserva Marco Bresolin su «La Stampa» stamani il nuovo governo guidato dalla leader del partito dei Conservatori europei, di cui fanno parte anche i premier di Polonia e Repubblica Ceca, non ha intenzione di rompere con gli alleati dell’Est. Poco importa se questo voglia dire scontrarsi con i Paesi tradizionalmente più vicini, come Francia e Germania. Anche a costo di bloccare delle navi nel Mediterraneo, che però non è proprio come edificare un muro alla frontiera tra l’Ungheria e la Serbia. L’avrà capito Meloni? Mah. E quel discorso di Draghi sugli alleati? Nemmeno.
La sintesi perfetta del suo viaggio all’estero l’ha fatta Tommaso Ciriaco su «Repubblica»: “Per organizzare la prima missione internazionale a Bruxelles, la premier silenzia il cuore e lo tradisce con la ragione. L’istinto è lontano dall’Unione, la ragione consiglia prudenza”. Per rassicurare Charles Michel e tutti gli altri, Meloni ha capito che era necessario tenersi a distanza di sicurezza dall’amico sovranista Viktor Orban, ma la verità è che non le è sempre riuscito: “Vedersi da vicino può aiutare a cambiare la narrativa fatta sulla sottoscritta e sul governo italiano. E dall’altra parte mi sembra che c’erano persone che avevano voglia di ascoltare”, le sue parole accompagnate dal sorriso. Ma espressioni come “la pacchia è finita” pesano sul curriculum di Meloni e dai vertici di Bruxelles non si fidano, lei non è Mario Draghi.
La premier ne è consapevole: per questa ragione ha chiesto consigli a Gentiloni, con il quale ha pranzato nella residenza di Benassi. “Lottiamo per la stessa cosa, Paolo”, gli avrebbe detto Meloni stando ai retroscena. L’opposto di quanto fece Giuseppe Conte da presidente del consiglio, che al commissario per mesi non ha fatto nemmeno mezza telefonata. Furba? Beh, certamente, la leader di FdI non è l’ultima venuta dalla montagna del sapone.