Non ti curar di lor ma guarda e passa, scriveva Dante nella Commedia. Ed è proprio quello che sta facendo Mario Draghi sul DL Concorrenza, all’esame della commissione Industria del Senato martedì prossimo: va avanti ignorando chi vuole mettere i bastoni fra le ruote al governo su una faccenda, le concessioni balneari, che il presidente del Consiglio è intenzionato a risolvere.
Tali concessioni balneari entro il 31 dicembre del 2023 saranno messe a gara, in attuazione della direttiva Bolkestein del 2006 per la liberalizzazione dei servizi, in Italia ignorata o comunque mai fatta propria con una apposita legge. Attualmente le concessioni demaniali in Italia sono molto lunghe, rinnovabili in automatico e a costi molto bassi per lo sfruttamento delle spiagge. Un giro d’affari da oltre 15 milioni di euro l’anno, di cui però solo una minima parte torna nelle casse dello Stato. Un sistema che però così concepito non solo di fatto riduce a zero gli investimenti per il miglioramento del servizio, ma limita anche fortemente la concorrenza perché divenire titolare di nuova concessione diventa pressoché impossibile.
Draghi ha inserito la spinosa questione nel DL Concorrenza, senza curarsi più di tanto delle rimostranze sollevate da Salvini e Berlusconi. E ha dato un ultimatum alla destra balneare: due giorni per trovare un accordo o si va in aula con la fiducia. Il che vorrebbe dire azzerare le modifiche richieste dai riottosi leghisti e forzisti, cancellando gli indennizzi per chi dal 2024 resta escluso dai bandi o non partecipa e anche l’accordo per dare più tempo ai Comuni per l’iter procedurale.
Insomma, il premier Draghi ha messo all’angolo di nuovo i “contrari per forza” e adesso i leader di FI e del Carroccio non possono che alzare ancora una volta bandiera bianca e allinearsi. “Sulle spiagge troveremo un accordo come sul catasto” dice ora un ecumenico Salvini, uno che peraltro di affari balneari se ne intende (Papeete docet), mentre il Cavaliere da Napoli ha dato l’ok a chiudere a breve la questione. Nonostante le spinte intestine a votare contro il DL Concorrenza, Silvio e Matteo sanno che questo comporterebbe le dimissioni di Draghi. E andare a votare ora non converrebbe a nessuno (se non a Giorgia Meloni) e sarebbe una catastrofe senza precedenti per Lega e FI (oltre che per il Paese). La sensazione è che soprattutto nella Lega abbia prevalso per l’ennesima volta la linea governativa. E che anche in questo caso la prova di forza di Salvini si sia rivelata solo una boutade.