Demagogia e realismo: il bipolarismo che domina l’Italia

Chiunque continui a ragionare di destra e sinistra, di campi più o meno larghi da entrambe le parti, gli piaccia o meno, è un demagogo. A noi liberali spetta il compito arduo di parlare al Paese reale, mostrandogli il tipo di società a cui noi aspiriamo. Per questo non possiamo più accettare che la questione, sempre più centrale, della riforma costituzionale sia ridotta alla sterile disputa premierato sì o premierato no.

La carta costituzionale è la legge fondamentale, la prima legge in assoluto che delinea il tipo di società di un Paese, è la sua carta di identità. Ma soprattutto è lo strumento fondamentale per dare/ridare al Paese un nuovo patto fondativo. Così è stato nel ’46, per uscire dalla tragedia del fascismo e del nazismo, così deve essere oggi per uscire dalla prima Repubblica con i suoi strascichi e fare i conti con una società totalmente diversa da quella postbellica. Tutto ciò ha bisogno di una premessa liberatrice: uscire dalla retorica che la nostra attuale Costituzione è la più bella del mondo e, come tale, intoccabile, soprattutto nella prima parte. Così non lo è oggi, ma non lo è mai stata.

È stata quella possibile in quel contesto geopolitico storico con il compromesso cattocomunista avallato da Stati Uniti e URSS. Quell’articolo 1: la società fondata sul lavoro altro non era che il tentativo di tenere attaccato alla neonata Repubblica quel partito comunista stalinista, pronto a scatenare una seconda guerra civile, la cui prima vittima, voluta da Stalin, sarebbe stato proprio Palmiro Togliatti. Le elezioni del ’48 hanno cambiato la storia. Oggi, però, quell’articolo 1 non ha più nessuna corrispondenza con la società italiana di oggi. Di quale lavoro si tratta? Della straordinaria rivoluzione in corso attraverso l’affermazione dello smart working e dei nuovi modelli di lavoro ibrido senza vincoli e né barriere? Del lavoro svolto dall’imprenditore per far sì che la sua impresa possa essere competitiva sui mercati globali? Lo stimolo nel lavoro impresso dalla competizione verso l’innovazione, l’efficienza e il progresso nella nostra società?

Eliminare o ridurre la competizione può portare solo a un ambiente stagnante e privo di incentivi per migliorare, come si vede nel pubblico impiego. Oggi il lavoro non si perde, semplicemente si cambia. Da qui bisogna partire per affermare una società fondata sulle opportunità e rimettere al centro qualità e bisogni dell’individuo. Qualità e bisogni connessi con la competenza, la meritocrazia, la concorrenza. Una carta costituzionale che definisca un modello liberale per una società fondata sull’individuo. Una carta costituzionale che faccia i conti con la storia e le sue tare e che non abbia bisogno dell’antifascismo per essere contro ogni forma di totalitarismo. Quell’antifascismo oggi intriso di antisemitismo, antisionismo, di anticapitalismo, che lo porta a spalleggiare le forme più truci di dittature, oligarchie, fondamentalismi di ogni ordine e grado.

Una carta costituzionale che non si limiti ad affermare la separazione dei poteri tra politica e magistratura, ma che imponga a quest’ultima confini ben delineati per affermare il garantismo: asse fondamentale della società liberale. Il giudice terzo tra accusa e difesa, la responsabilità civile non possono essere delegati alla legislazione ordinaria ma devono fare parte del nuovo patto fondativo. Tutto ciò ci porta a dover ridefinire un nuovo impianto istituzionale che permetta alla politica di dare risposte in tempi in linea con le esigenze della società. La Repubblica parlamentare sta implodendo, il bicameralismo da perfetto a sempre più imperfetto, in cui i meccanismi ufficiali ormai vengono sostituiti da consuetudini, il Presidente della Repubblica è ormai oltre il suo ruolo da garante super partes.

Il passaggio da una Repubblica parlamentare a una Repubblica presidenziale è ormai un cambiamento che non può più essere osteggiato ideologicamente ma ha bisogno di una riflessione laica, né può essere sostituito dalla retorica del premierato. Il ruolo di un nuovo partito liberaldemocratico non può limitarsi ad essere parte del vecchio sistema partitico ma deve fare suo, forte della sua cultura liberale, il compito di ridisegnare la società, le istituzioni in quanto mosaico che non può essere scisso ed essere di stimolo a un effettivo rinnovamento del sistema partitico.